RECENSIONE DEL LIBRO “AL DI LA’ DEL SILENZIO” DI GERARD DELTEIL

di Nicola Ruffo

È tempo di silenzio

Opere, saggi e testimonianze sulla dimensione della quiete

Ciò che è vero tace in noi; ciò che è acquisito è loquace

(K. Gibran, Sabbia e schiuma)

 

Pur mantenendomi laico segnalo molto volentieri il libro di Gérard Delteil Al di là del silenzio, testo di carattere teologico, in quanto valida proposta contro il bailamme di parole e fanatismi che connota il tempo attuale.

Proposta, dicevo, ma forse è meglio suggerimento o invito indiretto. Di certo non ingiunzione perentoria e tribunalesca, né verità cattedratica e dottrinaria.

L’autore (1929), pastore della chiesa protestante unita di Francia, fu per anni professore di teologia pratica a Montpellier.

Il punto di partenza della sua riflessione viene enunciato già nell’incipit della premessa: “Il fenomeno religioso si impone chiassosamente, ma Dio si ritrae dal nostro orizzonte. È uno dei paradossi del nostro tempo: la febbre e il silenzio”. Successivamente specifica: “Una domanda assilla la nostra epoca: perché Dio ha taciuto, perché tace dinnanzi al grido delle vittime del nostro tempo, di tutti i tempi? Nessuna traccia di una Presenza, nessuno segno di una Rivelazione. Piuttosto il vuoto, il ʺsenza rispostaʺ ”.

Ma il pregio di questo scritto consiste nel suo potenziale aprirsi a ulteriori analisi, non confinate al campo religioso, pur partendo da esso. Non è (solo) un trattato di teologia, condivisibile o meno, ma si dischiude all’intero panorama umano.

Sebbene dunque Delteil voglia considerare il tema del “silenzio di Dio” (e a esso si attiene nell’intero saggio), emergono, dalle pagine, degli impliciti per condurre discorsi più vasti.

Di fronte al blateramento parossistico che stiamo vivendo, tra affermazioni continue di verità e contro verità, di identità da imporre e alterità percepite come nemiche da avversare, possiamo (e dobbiamo) rispondere col riserbo. Non in quanto chiusura o fuga, o mutismo d’indignazione, sebbene se ne avverta talvolta la necessità, ma come disposizione d’animo per un valido discernimento. E per consentire al prossimo nostro di sentirsi ascoltato.

C’è bisogno di silenzio perché la parola dell’altro nasca”, sostiene il presbitero.

Quanto prospetta Delteil richiama lo specchio lacaniano dove l’altro può vedersi riflesso nella sua unicità. L’identità emerge – e si costruisce – in un’ottica relazionale fatta non di sentenze ma di ascolto, prima di tutto di sé stessi.

Le nostre identità si induriscono e si irrigidiscono per mancanza di riconoscimento dell’altro nella sua differenza”.

Nel silenzio c’è sempre uno spazio non determinato, un “non ancora detto”, un margine irriducibile di possibilità e probabilità. Ed è tale dimensione, quella che l’antropologo Gregory Bateson chiama “la zona del Sacro”, che rende fecondi i processi umani.

Non quindi dogmi indiscutibili ma contegno riservato di ascolto e attesa.

Mi sovviene qui la tentazione di speculare sul vuoto generativo della meccanica quantistica, dove particelle si creano dal nulla, ma ben me ne guardo dallo scivolare in metafisiche inappropriate o in esoterismi deleteri.

Delteil parte da una rassegna dei vari silenzi biblici di Dio: da quello punitivo dell’Antico Testamento (Dio non parla in quanto arrabbiato), a quello per mettere alla prova la fede dei discepoli. E approda, infine, alla nuova concezione: l’assenza di voce come ritirarsi della divinità per permetterci di divenire responsabili di noi stessi.

La sua è altresì una denuncia contro le posizioni dogmatiche e intransigenti delle religioni che in nome dei loro precetti hanno smarrito il messaggio di amore. La rigidità dottrinaria è degenerata in una palese forma di arroganza e presunzione, fino alla violenza vera e propria.

Ma è insito in ognuna e ognuno di noi l’attesa di una Parola, di un senso, di una narrazione non ancora formulata che ridia speranza e dignità alla condizione umana.

Come non pensare a quell’”esilio della parola” di André Neher? Il più autorevole rappresentante dell’ebraismo novecentesco evidenzia come la libertà sia legata dialetticamente al silenzio, ma “l’obiettivo della libertà non può essere che l’avvenire. […] L’avvenire è l’unica [dimensione del tempo] ad identificarsi totalmente con il silenzio”. Ma è in tale registro che risiede l’aspettazione messianica (o, in un’ottica laica, un inedito senso del mondo).

Del resto Elie Wiesel così si esprime: “[il silenzio] non è l’opposto della parola, ma la profondità della parola”.

In ambito cattolico troviamo una persona che ha fatto del silenzio il proprio fondamento esistenziale: padre Giovanni Vannucci (1913-1984), dei Servi di Maria. Nel suo invito ad “andare nel deserto, nel silenzio”, così scrisse in una raccolta di meditazioni: “Il deserto lo dobbiamo trovare in noi, cioè dobbiamo liberarci non solo dai rumori, dalle dissipazioni e dalle distrazioni che ci vengono dall’esterno, ma anche da tutto quell’insieme di opinioni, di teorie, di ideologie che ci posseggono dall’interno e che danno alla nostra mente la impossibilità di pensare con le sue proprie forze”.

Figura carismatica del monachesimo contemporaneo, invisa a certe gerarchie conservatrici della chiesa per via della sua apertura a tradizioni non cristiane, praticava nell’intimo la preghiera esicastica, una sorta di ascetica interiore ben narrata nell’opera Racconti di un pellegrino russo, di anonimo ottocentesco e trattata nei testi della Filocalia. Così narra Vannucci: “Personalmente, ho trovato da molti anni nella preghiera esicastica la via del silenzio, di quel silenzio che precede la parola e il gesto e che dà un senso di solidità, di gioia a tutte le parole e a tutte le azioni” (testimonianza registrata su nastro e trascritta in Fraternità del gennaio/giugno 2022, il bollettino dell’Eremo delle Stinche, a Panzano in Chianti, dove visse padre Vannucci).

Il silenzio di Delteil è dunque – anche – la poetica dell’attesa; il fare spazio attorno a sé, azzittire i brusii, mettersi in ascolto per permettere al possibile di divenire.

È ciò che Giorgio Gaber declama in una sua poesia semi cantata.

“…un uomo affascinato da uno spazio vuoto,

che va ancora popolato.

Popolato da corpi e da anime gioiose

Che sanno entrare di slancio nel cuore delle cose.

(…)

Uno spazio vuoto che va ancora popolato,

popolato da un uomo talmente vero,

che non ha la presunzione di abbracciare il mondo intero.

(…)

Popolato da chi ignora il passato e il futuro,

e che inizia la sua storia dal punto zero.

Gérard Delteil, AL DI LÁ DEL SILENZIO, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2022

Euro 18,00