PERCHE’ NON FACCIAMO UNA RECENSIONE POSITIVA ALLO SPETTACOLO “UNA RIGA NERA AL PIANO DI SOPRA”

Non ci ha convinti lo spettacolo di e con Matilde VignaUna riga nera al piano di sopra- monologo per alluvioni al contrario”, produzione Ert Emilia Romagna Teatro e candidato al Premio Ubu 2022 nella categoria Migliore Nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica.

In scena il 25 novembre al Teatro Astra di Vicenza, all’interno della Rassegna Terrestri, organizzata dal centro di produzione teatrale Lapiccionaia di Vicenza, lo svolgimento del tema, nello spettacolo, di una donna adulta che tra separazioni, cambiamenti, traslochi e mutui, racconta un’alluvione al contrario non ci ha convinto, nonostante l’ottimo progetto sonoro di Alessio Foglia, forse la nota più convincente sul piano evocativo/suggestivo dello spettacolo, l’equilibrata regia e i preziosi apporti di quanti hanno partecipato alla sua realizzazione (dramaturg Greta Cappelletti, aiuto regia Anna Zanetti, disegno luci Alice Colla, costumi Lucia Menegazzo, voce registrata Marco Sgarbi, scenografa decoratrice Ludovica Sitti).

In realtà dopo la visione e proprio in considerazione della sua candidatura Ubu a Miglior testo ci aspettavamo una “densità” di contenuti che lo spettacolo ha dimostrato secondo noi di non avere, una profondità di analisi che non c’è stata, e, teatralmente più in generale una capacità empatica di coinvolgimento che abbiamo trovato piuttosto assente, al punto di porci più di qualche domanda sul fare teatro e sull’arte del teatro ai nostri giorni, perché lo spettacolo, stimolante in premessa fin dalla battuta iniziale “ una donna adulta a cosa si aggrappa per non cadere? Ha senso una donna aggrappata ad un albero?” non è mai entrato nel vivo del sentimento di spiazzamento alluso dalla protagonista, troppo intenta nella memoria di un testo ricchissimo di vocaboli, con liste interminabili di oggetti, che non hanno lasciato spazio a pause, momenti di riflessione reciproci, ritorni empatici, se non per cercare consensi con qualche battuta facile in qualche breve spiraglio ammiccante. L’attrice,  complice un testo verboso, ci è parsa incapace di forzare la superficie delle cose, di penetrare oltre la banalità delle minuziose descrizioni di valigie da fare e di appartamenti da svuotare, con lunghi elenchi più simili a  scioglilingua che ad elementi necessari capaci di rendere conto dello sradicamento di chi è preso da separazioni, traslochi, mutui. E la domanda iniziale, così ricca di promesse, rimane un quesito vago, cui secondo noi lo spettacolo non riesce a dare sostanza.

Qualche azione emotiva in più c’è stata nello sdoppiarsi del tema che intreccia alla storia personale la tragedia naturale attuata dalla piena del Po nel Polesine 70 anni fa.

Qui la perdita e lo smarrimento delle persone di fronte alla catastrofe diventano più tangibili, ma lo stile interpretativo, pur nell’apprezzamento della sua precisione nelle singole scene e impreziosito da sonorità ricercate, ricalca il già visto, ( Paolini e il Vajont docet), con appoggi e cliché d’effetto che si sa già che funzionano, simile a qualcosa di creato a tavolino con garanzie di successo.

Insomma, se sul piano artistico ci è parso che nulla di nuovo si profilasse all’orizzonte, senza nulla togliere alle capacità dell’unica interprete Matilde Vigna, in grado di tenere la scena in modo encomiabile con ottime qualità di memoria, concentrazione, energia e ritmo , rimaniamo ancora una volta perplessi tanto sui criteri di assegnazione dei Premi in generale, quanto sulla china che sta prendendo il teatro oggi ( e probabilmente le due cose viaggiano parallele).

Forse siamo noi fuori dal tempo a cercare e a pretendere un teatro che abbia qualcosa di reale da dire, oltre a mere citazioni di slogan/cavalli di battaglia di facili simpatie allargate? Forse siamo noi che non abbiamo ancora capito che la società è mutata e che l’analfabetismo culturale dilagante non ammette oscure profondità? Forse l’avventurarsi in meandri poco condivisi è pericoloso? Forse siamo ancora così ingenui da pensare che il teatro sia solo un mezzo ( comunicativo) e non un fine?

Ricordo in un Festival Teatrale un Direttore Artistico dire: “ Non importa per quale teatro, basta che ci date i soldi.”

Visto il 25 novembre 2022

Emanuela Dal Pozzo