L’”AMLETO” DEL TEATRO DEL LEMMING AL TEATRO STUDIO DI ROVIGO. RECENSIONE.

Di Emanuela Dal Pozzo

Interessante approccio quello di Massimo Munaro, che ne firma drammaturgia, musica e regia, allo spettacolo “Amleto”, con la Compagnia del Teatro del Lemming.

Lo spettacolo, liberamente tratto da “The Tragical History of Hamlet, Prince of Denmark” di William Shakespeare, è in scena al Teatro Studio di Rovigo.

Uno spettacolo in continuità con la poetica della Compagnia, particolarmente attenta al rapporto scena/spettatori fino a sperimentazioni anche estreme ( dal nostro punto di vista) con spettacoli di pregnanza sensoriale, studiati per singoli spettatori.

Anche in questo allestimento, per un pubblico allargato, gli spettatori  hanno l’occasione di vivere un’esperienza sensorialmente ricca, a diretto contatto con il palcoscenico, pur rimanendo seduti in platea.

L’opera shakespeariana viene smembrata con lucidità, alla luce di una pluralità di interrogativi urgenti contemporanei che indagano il rapporto tra finzione e realtà, nel teatro come nella vita, tra giustizia e omertà, tra indifferenza e consapevolezza, tra passato e presente: tematiche che ho scelto, tra le tante altre, quale occhio di osservazione.

E’ una precisazione che va fatta perché, per la quantità dei materiali e delle azioni sceniche anche in contemporanea presenti, questo Amleto può essere interpretato secondo la individuale sensibilità dei singoli spettatori, che possono scegliere la chiave di lettura o il punto di osservazione preferito.

Dal mio punto di vista lo spettacolo potrebbe collocarsi a ridosso di esperienze di teatro immersivo, ( in un gradino immediatamente precedente) quali “Augenblick” (Compagnia Amaranta, regia di Riccardo Brunetti- vedi recensione) in cui gli spettatori, liberi di girare nello spazio,  (in quel caso  un intero appartamento minuziosamente predisposto con scene, oggetti, odori, sapori e suoni evocativi) decidevano liberamente i luoghi e la scansione temporale delle scene, facendo così da se stessi la regia.

Detto questo l‘Amleto di Munaro si apre con alcune scene suggestive corali, alcune delle quali in simultaneità, introdotte dal fantasma del padre che invita Amleto a vendicarlo. I personaggi principali della tragedia: Amleto, Ofelia, Laerte, la Regina, il Re, si esibiscono in una recitazione esteriore, sopra le righe, spesso urlata, che chiariscono le dinamiche interpersonali, ma anche gli umori personali e la follia. In qualche momento l’azione si sposta in un tempo attuale, come se ciò che avviene nell’Amleto di Shakespeare ci riguardasse da vicino, come se l’assassinio del padre, la follia e le relazioni malate non fossero solo frutto di un’opera drammaturgica.

E’ il tramite per il passaggio successivo in cui gli attori si interrogano, tanto sulla finzione teatrale, che invece che svelare la realtà la nasconde, tanto sulla necessità di interrogarci nell’oggi. Gli spettatori vengono indirettamente coinvolti, sollecitati, mentre la finzione della realtà dei nostri giorni viene celebrata in scena.

L‘”essere o non essere” di Amleto diventa così la scelta cruciale di come si intenderà vivere, mentre scene legate a sogni di morte di Amleto e di Ofelia introducono in una dimensione più intimista e vera. L’acqua infine abbonda, simbolo di desiderio di purificazione dal senso di colpa ( “ la colpa è più importante del rimorso”), mentre lo spettacolo si conclude con un monito alla memoria. Celebrare questo assassinio, simile a tanti, ha la stessa valenza del ricordare, che è l’unica cosa possibile : “il resto è silenzio”.

E che lo spettacolo con i propri interrogativi continui nella vita, oltre il palcoscenico, spiazzando gli spettatori, lo si vede anche alla fine, quando gli attori escono in silenzio lasciando la luce accesa, mentre gli spettatori si interrogano se lo spettacolo sia davvero finito e aspettano a lungo prima di comprendere ed applaudire.

La percezione globale dello spettacolo è quella della complessità, che è un pregio degno di nota oggi, tempo in cui tutto viene triturato, semplificato, decodificato, pronto per essere servito senza l’ausilio dell’intelletto ( da parte dello spettatore considerato recettore passivo).

Crediamo che sia questa la scommessa più interessante di Munaro, che sembra andare a ragion veduta controcorrente, anche se è presente un’utile sorta di mappa- guida scritta a disposizione degli spettatori, capace di orientare.

Dal punto di vista invece della messa in scena, particolarmente apprezzabile ci è parsa la regia, capace di creare belle scene corali e multiple in tutto lo spettacolo, coniugando il costante equilibrio scenico con la piacevolezza estetica, a tratti disturbante, e di guidare intelligentemente i convincenti perlopiù giovani attori: Chiara Elisa Rossini., Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Alessio Papa, Boris Ventura, Katia Raguso, Alessandro Sanmartin, Marina Carluccio, Chiara Ferronato.

Fondamentali al fine della resa del tutto l’ottimo utilizzo delle luci e la scelta degli oggetti essenziali di scena (Luigi Troncon), anche se il contributo suggestivo forse più rilevante è stato quello musicale ( Massimo Munaro) ,capace di coinvolgere empaticamente gli spettatori.

Visto il 3 aprile 2022