di Nicola Ruffo
La teoria della relatività (ristretta e generale) vanta più di un secolo dalla sua formulazione, eppure a tutt’oggi risulta di ardua comprensione per il grande pubblico.
La felice intuizione di Einstein ha radicalmente mutato la visione sulla struttura dell’universo consentendo un vertiginoso salto in avanti nella ricerca scientifica e nelle sue implicazioni tecnologiche.
Spazio e Tempo, che fino all’Ottocento erano considerate entità assolute e distinte, valide per qualsiasi osservatore, ora si fondono in un’unica dimensione, lo spaziotempo, la cui percezione varia in base alla velocità e al sistema di riferimento di chi osserva. Il medesimo evento può essere colto in modi completamente diversi da due persone che si muovono a velocità dissimili e poste in luoghi differenti.
Abbiamo capito che il cosmo non è un contenitore vuoto che ospita, al suo “interno”, dei corpi celesti – stelle, pianeti, galassie, ecc. – ma è egli stesso una realtà fisica che si deforma, si allunga, si contrae, si espande, come una torta che lievita. Là dove c’è una massa, per esempio un astro, lo spaziotempo si curva e lo scorrere del tempo rallenta.
Abbiamo capito altresì che la velocità della luce – 300.000 chilometri al secondo – è la stessa per qualsiasi osservatore di qualsivoglia sistema di riferimento, e niente, nell’universo, può superarla.
Sintetizzata così, al limite della banalizzazione, parrebbe elementare da comprendere.
Tuttavia la teoria della relatività è di elevata complicazione e costituisce una delle più straordinarie, dirompenti e rivoluzionarie conquiste del pensiero umano.
Data l’enorme impalcatura matematica che la sottende e la sua contro intuitività che sfida le nostre illusorie percezioni quotidiane del reale, non è difficile intuire il perché la maggior parte delle persone non addette ai lavori ancora non l’abbia assimilata. A molti anzi risulta tuttora indigesta.
È dunque con gioia che accogliamo l’ultima fatica di Amedeo Balbi, astrofisico e professore associato all’Università di Roma “Tor Vergata”, “Inseguendo un raggio di luce”.
Il libro, (Rizzoli, 2021) è un ottimo testo di divulgazione scientifica che espone con linguaggio semplice ed esempi chiarificatori l’argomento, reso accessibile, almeno nelle sue linee principali, anche ai profani.
Amedeo Balbi ha ben chiaro il suo target di lettori: i “comuni mortali” a digiuno di conoscenza fisica e astronomica. Non troveremo pertanto, nelle pagine, atterrenti formule matematiche o lessici ermetici, grafici fitti di cifre o pedanti linguaggi specialistici.
Al contrario, il testo è alternato qua e là da divertenti “pause fantascientifiche”, dove le trovate romanzesche della science fiction, sia della letteratura che del cinema, sono messe a confronto con la plausibilità del mondo concreto.
L’autore affronta i grandi misteri che la teoria della relatività pone come campi di indagine: quanto è vasto l’universo? È l’unico o possono essercene altri oltre al nostro? Cosa c’era prima del Big Bang? Cosa succede se si cade in un buco nero? Esistono i tachioni, le ipotetiche particelle più veloci della luce? Che forma ha il cosmo?
Nonostante in alcuni punti si scenda inevitabilmente nel tecnico – ma solo un poco – l’esposizione dello scienziato romano si mantiene su livelli di facile fruibilità, rendendo intrigante la lettura.
Del resto Balbi è noto per essere un divulgatore professionista (il suo canale youtube è tra i più seguiti), e i suoi libri riscuotono sempre grande successo di vendite.
In un paese come l’Italia, dove l’alfabetizzazione scientifica langue e dove l’avanzare minaccioso di analfabetismi funzionali si fa preoccupante, i lavori come quello di Amedeo Balbi sono utilissimi. Anzi: indispensabili.