LA TURANDOT ALL’ARENA DI VERONA

Una carriera in teatro può avere un ‘importante ‘incipit’ in molte modi ma certo il lancio più sicuro avviene con la sostituzione all’ultimo minuto di un collega indisposto. Storicamente infatti la situazione permette al sostituto, magari attivo da anni in teatri di minor importanza, di farsi improvvisamente notare alla platea internazionale . Da Renato Bruson , Cecilia Gasdia per giungere ad Anna Pirozzi sono molti gli artisti che grazie a questo fatto hanno avuto una visibilità ed un successo che la loro arte e maturità già acquisita non ha potuto, in molti casi, che confermare.

Era d’obbligo questa introduzione dovendo parlare della recita di “Turandot” cui ho assistita all’Arena di Verona in data 30 luglio , proprio perchè, in quell’occasione, il fatto si è ripetuto.

Al termine del I Atto infatti il titolare del ruolo di Calaf Carlo Ventre, a causa del protrarsi di un’indisposizione, era costretto ad abbandonare la recita e veniva sostituito dal giovane tenore Dario Di Vietri (già noto al pubblico televisivo per essersi fatto notare durante il Galà di Antonella Clerici trasmesso in diretta dall’Arena su Rai 1 durante la ‘Gara tra tenori”) che concludeva la recita riportando un clamoroso successo. Detto questo, veniamo alla serata.

La regia di Franco Zeffirelli , che adatta allo spazio areniano il suo celebre allestimento nato per la Scala e poi portato in giro per il mondo, mantiene il suo ‘appeal’ ed il suo forte fascino fiabesco. Zeffirelli è uomo che sa, ed ha sempre saputo raccontare storie e, quando non si perde in convenzionali compiacimenti ritrattistici, riesce a costruire quadri dalla rara bellezza e suggestione. In questo senso risulta sempre efficace l’apertura d’opera con i grandi muraglioni che tagliano fuori il popolo dal mondo terribile e dorato della crudele principessa, così come il II Atto in cui il palazzo sfavillante di armonie di colore ed ori scatena un applauso a scena aperta e, ripeto, è anche giusto che sia così, in questa sede e con tale partitura.

Il cast in palcoscenico si muoveva con professionale compostezza, senza però provocare quel particolare brivido emozionale che resta nel cuore e cementa nel ricordo quella particolare serata e ciò oggidì è cosa comune … ma non buona.

Martina Serafin tratteggiava una principessa vocalmente raffinata e dipinta nelle sue sfumature , soffermandosi giustamente, considerata la sua vocalità, sul suo aspetto prettamente femminile atto a metterne in evidenza le fragilità e le insicurezze piuttosto che il suo teutonico e rigido integralismo morale.

Del Calaf di Dario di Vietri si è gia accennato , occorre però ancora sottolineare quanto , senza nulla togliere al talento del giovane , certo dotato di una vocalità molto spontanea e fresca, questi debba ancora studiare e maturare una tecnica ben più sicura prima di poter essere definito artisticamente pronto.

Sicuramente pronta invece per i grandi palcoscenici , che infatti calca, Carmen Giannattasio delineava una Liù vocalmente sicura, ma in cui la scenica disinvoltura non era accompagnata da un ugual cura per parola e fraseggio che l’artista dovrebbe, a mio parere, sviluppare e consolidare per acquisire quella forte teatralità che ogni grande artista deve possedere.

Completavano il cast le tre maschere non impeccabili di Vincenzo Taormina (Ping), Paolo Antognetti (Pong) , Saverio Fiore (Pang), il professionale Timur di Rafal Siwek, L’Imperatore Altoum di Antonello Ceron ed il Mandarino di Gianfranco Montresor.

Ridondante ed approssimativa la direzione del M° Daniel Oren che non riusciva ad ottenere sufficiente coesione dalle masse orchestrali e corali con un risultato, nel suo complesso, non certo all’altezza della sua giusta fama.

Comunque pieno successo di pubblico ed autentiche ovazione per la promessa Dario di Vietri a cui auguriamo una carriera curata e scrupolosamente ed artisticamente custodita.

Verona, 30/07/2014

SILVIA CAMPANA