DON CARLO AL TEATRO REGIO DI TORINO

Il Nuovo Teatro Regio di Torino (fondato nel 1740 e distrutto da un incendio nel 1936) riaprì i battenti il 10 aprile del 1973 ed ora, per ricordare i suoi quarant’anni di attività, si festeggia degnamente con una mostra interattiva e soprattutto con la ripresa di un suo prestigioso allestimento del 2006 “Don Carlo” con la regia, scene e costumi di Hugo De Ana.

Diamo resoconto della prova generale dell’Opera il 7 aprile 2013.

L’allestimento, impostato principalmente su di un grande rigore estetico e su di un inquadramento spaziale scenograficamente scolpito, si conferma particolarmente affascinante, soprattutto per la cura e la minuzia nella definizione dei caratteri . Forte è la lettura drammaturgica infatti che De Ana offre dei personaggi tratteggiando Don Carlo (che il bravo Ramòn Vargas sposa senza paure o smanie di protagonismo) quale un modernissimo Riccardo III in cui le ossessioni della mente oppressa e turbata diventano una ragnatela scomposta di azioni compresse ed inchiodate ai tic di una nevrosi che mostra i tratti di una follia schizoide ed Elisabetta (abbandonata però da Barbara Frittoli in una ripetizione di gesti di maniera) quale donna moderna, combattiva e sorprendentemente audace (a fine opera sarà lei, con un gesto imprevedibile e veloce, a mettere la spada in mano all’Infante affinchè possa uccidere suo padre) affiancando loro un generale ottimo lavoro su tutto il cast.

Complessivamente sono comunque molti i momenti in questa ‘pièce’ che , pur giocando su di un indubbio ‘appeal’ spettacolare, risultino concettualmente significativi; su tutti quello in cui, durante il quadro dell'”Autodafé”, la scena si paralizza, quasi in un fermo immagine, per poi rianimarsi di colpo, in modo solo apparentemente scomposto e disarticolato, all’ingresso di Don Carlo (Atto II sc.IV) seguito dai delegati fiamminghi, evidenziando in maniera efficacissima, con la chiarezza dell’immagine in movimento, la frattura di un equilibrio finto ed impostato e di una tormentata quanto statica coreografia politica.

La presentazione vocale della partitura, qui nella versione italiana in quattro Atti del 1884, conosceva un esito alterno sia sotto il profilo prettamente tecnico che che su quello interpretativo e scenico.

Diciamo subito che Ramòn Vargas non possiede forse la vocalità ideale per il ruolo dell’Infante di Spagna ma ne tratteggia il carattere con grande cura e sapiente espressività . Il timbro, prettamente lirico del generoso artista ( nonostante si trattasse di una generale ha cantato sempre in voce) dosato e cesellato con un’attenta cura alla parola ed al fraseggio , si prestava però assai bene alla difficile espressione di un animo sofferente nel corpo e nello spirito e tecnicamente, pur con qualche stiratura di troppo ed affaticamento nel registro estremo, restava morbido nel colore e vibrante di espressività e, in un ruolo come questo, non è poca lode.

Ciò non è avvenuto invece per Barbara Frittoli che, oltre ad aver tagliato numerosi acuti , corone e così via, seguiva in maniera davvero assai superficiale la regia, donando al pubblico in sala solo una minima parte della sua indubbia professionalità . Probabilmente in recita si esprimerà ai livelli cui ci ha da anni abituati , a volte in generale può succedere che un cantante decida di risparmiarsi , mi sento dunque di sollevare il giudizio.

Vocalmente interessante il Rodrigo delineato da Ludovic Tezièr che, certo dotato di un timbro assai importante, non riusciva però ad arricchirlo con quella morbidezza di accento ed espressività che il ruolo verdiano esige, ma è molto giovane ed avrà tutto il tempo , se lo vorrà o glielo lasceranno fare, di approfondire, sul versante più prettamente teatrale, una vocalità che, al momento, si risolve in un suono bello ma nulla più.

Male invece sotto entrambi i profili , e mi duole sottolinearlo data la qualità dell’artista, Daniela Barcellona nel ruolo della Principessa Eboli, evidentemente inadatto alla sua vocalità. Sono incidenti che possono accadere anche a grandi interpreti, quando si avventurano in un diverso repertorio e, sicuramente, la brava professionista saprà presto tornare ai suoi livelli di classe, musicalità e rigore.

Ottimo sotto ogni profilo invece il Filippo II tratteggiato dal giovane basso Ildar Abdrazakov.

Timbro vellutato e nobile , sicuro in tutta la tessitura, musicale , profondo e sapiente nel fraseggio, dalla scena e teatralità elegante e regale….che c’è da da dire di più. Bravo!

Marco Spotti, nel ruolo del Grande Inquisitore, mostrava una vocalità interessante ed assai espressiva. Teatralmente convincente, la sua interpretazione riusciva ad estrinsecare facilmente il difficile e centrale carattere verdiano, con un esito complessivo teatralmente efficace.

Completavano il cast: Roberto Tagliavini (Un frate), Sonia Ciani (Tebaldo), Erika Grimaldi ( Voce dal cielo), Dario Prola /Alejandro Escobar (Conte di Lerma), Luca Casalin (Araldo) e Fabrizio Beggi, Scott Johnson, Federico Sacchi, Riccardo Mattiotto, Franco Rizzo e Marco Sportelli (Deputati Fiamminghi).

Alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, il M° Gianandrea Noseda dava una lettura serrata e assai dinamica della partitura che veniva dipanata con rigore e ben descritta nei suoi colori e sfumature; forse una maggior coesione con il cast in palcoscenico (messo molto spesso in difficoltà dai tempi serrati) avrebbe potuto certamente migliorarne la complessiva prestazione.

Teatro pienissimo ed applausi entusiastici per tutti gli interpreti ed il Direttore di questo “Don Carlo” , in ogni caso, da vedere !!!

Silvia Campana