IN CAMERA CARITATIS/ VUOTO LOCALE. RECENSIONE

Interessante allestimento in Prima Nazionale dello spettacolo “ In camera caritatis/ vuoto locale” di Ketty Adenzato, che ne firma regia e drammaturgia, a Villa Wassermann di Giavera del Montello, in data 8 e 9 dicembre 2012 e inserito nella più ampia rassegna “Asfalti bagnati”.

Lo spettacolo è prodotto dalla Compagine Fucina del Corago e Kalsa Compagnia.

Una messa in scena tesa a parlarci di anima, dell’anima dell’uomo, a partire dalle ricerche di fisica nucleare sull’antimateria, in un susseguirsi di immagini suggestive che hanno spaziato dalle installazioni scenografiche di Ketty Adenzato alle coreografie ideate in collaborazioni con Giovanni Cilluffo, dalle immagini video ad opera di Alberto Girotto ad alcuni effetti speciali di grande impatto visivo/emozionale ideati da Adenzato e realizzati da Rosario Lauricella: l’irrompere in scena di pupazzi inanimati, la discesa di petali rossi e il brillio del vetro frantumato da una brocca, solo a citarne alcuni.

I protagonisti sono l’uomo e la sua anima, con i conflitti che derivano dalla condizione di uomo separato dall’anima, in una condizione continua di moti agiti nella materia, fino ad un disvelamento finale, dove l’anima e il corpo si ricongiungono nella figura della Pietas.

L’opera è ricca di contenuti, e si stende a macchia d’olio, in una continua scomposizione e ricomposizione degli elementi e su diversi piani, precisamente tre, dice Ketty Adenzato: il mondo materiale, quello del”Invisibile” e quello della” camera caritatis”, dove potersi parlare in segreto.

L’artista preferisce il linguaggio poetico, evidenziato dalle azioni sceniche e dall’associazione di immagini con la scelta di nessi significanti, piuttosto che lo svolgersi ordinato sequenziale e, per questa ragione, ha preteso dal pubblico un’attenzione più emozionale che razionale, come spiegherà poi nell’intervista.

Unanime il riconoscimento del pubblico sul piano estetico, non altrettanto pronto a recepire i nessi logici e alcuni significati nello svolgimento dell’azione teatrale e che forse avrebbe preferito una spiegazione delle scelte effettuate.

Dal nostro punto di vista l’opera è interessante, ricca di spunti di riflessione, con momenti di originalità e punte di qualità estetica, con molte sfaccettature ,alcune delle quali intraviste, accennate e che si presterebbero ad elaborazioni successive.

Lo spettacolo viene presentato così, citando la locandina:

Detto nel segreto. Detto che nessuno lo sappia.
Detto nel segreto per farci coraggio tra noi, e va detto, in segreto, per riuscire ad ascoltarlo.
E’ un
vuoto locale, uno di quei vasti spazi del cosmo dove pare non ci sia nulla, nemmeno una stella, pare, sono buchi.
Vuoto locale è uno spazio dove non c’è nulla di visibile all’occhio ma, ormai è saputo, è pieno di antimateria, energia che non può essere catturata, registrata, fotografata in nessun modo e quindi è invisibile. Non è osservabile, perché completamente immersa nel mondo della materia del nostro visibile.
Un
vuoto locale pieno di invisibile.
E allora diciamolo in segreto, troviamo il coraggio, facciamolo insieme in un luogo e in una forma dove si possa vincere il pudore, senza rigidità, in confidenza, con affetto con ardore.
Facciamolo,
in camera caritatis.
E allora parla anima mia
.”

Due gli interpreti in scena: Ketty Adenzato, che si è alternata tra voce registrata insieme a quella di Alex Cendron, azione scenica, danza e parlato, dimostrando forte presenza scenica e il ballerino coreografo Giovanni Cilluffo, di grande densità espressiva, che non ricordavamo più in questa splendida veste, negli ultimi anni impegnato più in regie e coreografie: una presenza calda e fortemente empatica.

Mi fermo con l’autrice e interprete per una breve intervista.

INTERVISTA A KETTY ADENZATO

Quando parli di anima nello spettacolo, intendi anche parlare di anima in senso religioso?

Nonostante la sacralità del tema non esiste nessuna intenzione di entrare in uno spazio religioso connotato. Tale sacralità è da intendersi in termini filosofici.

Veniamo al titolo dello spettacolo. Cosa intendi per “ Camera caritatis”?

La locuzione In camera caritatis era in uso in epoca medievale, la camera allude alla rigidità della legge e caritatis all’atto di pietas con il quale le comunicazioni venivano fatte, cioè nel segreto di una camera chiusa, dove poter dire senza veli e senza che nessun altro possa sentire. La prima parte del titolo “In camera caritatis” richiama direttamente quindi alla condizione cui al pubblico è chiesto di porsi, cioè in una condizione di apertura, accettazione fuori dalle resistenze logiche della ragione.

A volte lo spettacolo può sembrare ermetico, soprattutto per un pubblico poco abituato a questo tipo di linguaggio. Non pensi che questa “cerebralità” possa penalizzare l’efficacia della comunicazione?

Il linguaggio contemporaneo, e della frammentazione, non può prescindere da un lavoro di sintesi e la sintesi è complessità, non complicazione. La sintesi nella scena punta alla comunicazione percettiva. Eventuale impressione di “cerebralità” dipende dalle difese del singolo pubblico-recettore, se sono alte e/o rimangono alzate durante la rappresentazione, la sintesi viene elaborata intellettualmente.

L’opera è densa ma nella sua forma estesa prevede circa 10/15 minuti in più, utili alla diluizione delle sollecitazioni della scena, favorendo una recezione più distesa dei tre piani.

Quali sono le difficoltà, se ci sono state,che hai trovato durante il percorso della realizzazione della messa in scena?

Rispetto alla drammaturgia e alla regia nessuna, perchè ho solo dovuto trasporre sul piano visivo/teatrale ciò che già concettualmente avevo in mente. C’è stato qualche ritardo dovuto alla complessità di certe strutture da costruire in scena per permettere alcuni effetti che intendevo provocare, ma se proprio devo pensare a difficoltà direi il rintracciare le musiche che ho utilizzato, rispetto alle quali devo particolari ringraziamenti per la grande disponibilità offertami da Kreng, Yuval Mesner e Arvo Part.

Ketty Adenzato è attrice, regista dramaturg e drammaturgo. E’ docente di discipline teatrali e si occupa di teatro e di arti contemporanee. E’ impegnata nello studio della complessità delle forme simboliche del percorso evolutivo dell’uomo, nell’analisi della comunicazione tra segno e spazio, nel rapporto con il recettore.

La materia dell’invisibile è la definizione che sintetizza la sua opera creativa e di studio.

Dopo un lungo percorso di formazione e di produzione legata a diverse realtà teatrali del territorio, quali il teatro Ossero e i Cantieri Associati, nel 2003 frequenta un seminario di studio diretto da Dario Fo, nel 2005 frequenta la scuola di scrittura teatrale diretta da Dacia Maraini, Centro Nazionale di drammaturgia, nel 2005/2006 fa parte del gruppo di lavoro “Il mondo spezzato- Drammaturgia della Frammentazione diretto da Josè Sanchis Sinisterra, nel 2008 fonda La Fucina del Corago- www.fucinadelcorago.eu