di Nicola Ruffo
Ci vuole coraggio, in Italia, per fare certe cose. Ma da solo non basta: occorre competenza, determinazione, intelligenza, fiducia e tanta, ma tanta passione. E un pizzico di fortuna (quello non guasta mai).
Impegnarsi nella promozione e nella ricerca storica del fumetto recuperandone la dignità, rientra appunto tra le imprese più ardue nel Belpaese. Da noi la “nona arte”, termine con il quale si indica il mondo delle “nuvole parlanti”, soffre di un cronico pregiudizio, inveterato quanto pernicioso, da parte sia della cosiddetta “cultura alta”, sia dal vasto pubblico non pratico in materia. Essa infatti è sempre stata considerata: o un prodotto per bambini (e in questo è sottesa altresì una visione sminuente nei confronti dell’infanzia), oppure un’arte minore, plebea, non degna di sedere accanto alle sorelle maggiori quali la letteratura, la pittura, la musica.
Gianni Bono, classe 1949, genovese di nascita e milanese di adozione, ha mostrato di possedere l’intera serie di qualità richieste per sfidare – e vincere – tale pregiudizio.
Stiamo parlando di una leggenda, nel mondo dell’editoria e dello studio del fumetto nostrano (e non solo). Signorile e pacato, Gianni rappresenta un imprescindibile pezzo di storia italiana che non esiterei a definire un Einaudi dei comics.
Entrato giovanissimo nel mondo dei balloons in qualità di redattore, collabora poi con diverse case editrici – Corno, Cenisio, Dardo, Bonelli, Mondadori e Disney – svolgendo interessanti attività di divulgazione, promozione e diffusione di questo media.
Celebre è la sua Guida al fumetto italiano, poderosa opera enciclopedica (ora anche on line), vera e propria pietra miliare del settore e punto di riferimento per gli appassionati.
Agli inizi degli anni Duemila fonda la “Edizioni If”, che propone ristampe cronologiche di serie famose: Blek, Capitan Miki, Il Piccolo Ranger, Comandante Mark, Mister No, Storia del West, e molte altre ancora.
INTERVISTA A GIANNI BONO
Oggi il fumetto come media può competere con la moderna tecnologia informatica? In che modo potrebbe conviverci senza venirne cancellato o messo in ombra?
Il discorso riguarda la piattaforma, il device: è la carta che compete con le attuali tecnologie informatiche, non il fumetto in sé. A cambiare è il supporto. Gli autori continuano a pubblicare, e ora lo fanno pure su dispositivi elettronici integrati. Quindi non è il fumetto a essere in competizione ma la carta.
La dimensione della sensorialità legata al cartaceo rischia pertanto di scomparire?
Faccio una considerazione: quando vado in vacanza, quanti libri mi posso portare? Quanto mi costano averli in valigia, sull’aereo? Quanto mi pesano? Dove li metto? Sono ingombranti, portano via spazio, c’è il rischio di perderli. Certo, quando tocco un pezzo di carta è tutta un’altra cosa rispetto a leggere su iPad. Ma chi la carta non l’ha conosciuta non ha questa esigenza; l’essenziale è che legga, che guardi le immagini, le figure.
L’importante quindi è che tu possa usufruire di un qualcosa che il fumetto ti dà, anche se non è stampato.
Qui sopra (un iPad, n.d.r.) il fumetto ha la possibilità di crescere: ci puoi interagire, lo puoi ingrandire, ci puoi persino giocare, ci puoi fare quello che vuoi. Sulla carta invece è statico.
Certo, potendo scegliere, me lo gusto in cartaceo.
Passiamo alla nota querelle: la diversa considerazione del fumetto in Francia e in Italia. Perché da noi è visto con sufficienza (quando va bene) mentre in terra d’Oltralpe è valorizzato al pari di altre forme d’arte?
Oggi le cose stanno cambiando. Diciamo che da noi in passato era considerato un intrattenimento per bambini mentre ora è visto più come prodotto di serie B. La differenza tra Italia e Francia è data dalla quantità di persone che leggono. In Italia i lettori sono il 10 per cento mentre in Francia sono il 90 per cento. Se tu hai questa base, è chiaro che avrai anche il 90 per cento di chi potenzialmente legge comics. E non solo: chi li ama, li vuole in libreria in formato cartonato: la Francia vince per questo! Pure il governo francese ci crede e dà quindi contributi ai grandi eventi come quello internazionale di Angoulȇme.
Da noi è prevalso il fumetto popolare, da edicola. Solo adesso le istituzioni cominciano a rendersi conto che ci sono i fumetti, e siamo nel 2023!
Che rapporto c’è tra letteratura e fumetto?
Pratt diceva che il fumetto è letteratura disegnata. Io credo che avesse ragione; i comics, le graphic novel, sono un modo di raccontare per immagini. Ma è sempre letteratura.
Ancora oggi trovo persone le quali alla domanda: “perché non leggi un fumetto?” mi rispondono: “Non ci riesco, mi stanco. Con un romanzo non ho problemi ma per un “giornalino” devo capire che bisogna andare da sinistra verso destra (il contrario per i manga), dall’alto verso il basso; devo guardare i disegni e poi i balloons. Mi stufo”.
Questa difficoltà è tipica di chi non ha mai preso in mano un fumetto. È un grosso limite.
Diverse opere letterarie hanno avuto una trasposizione nel fumetto. Penso per esempio all’Inferno di Dante in Topolino (L’inferno di Topolino, di Angelo Bioletto per i testi e Guido Martina per i disegni; prima edizione: Mondadori 1949, n.d.r.).
La parodia in quanto tale è stato il grande aiuto per portare poi il bambino, una volta cresciuto, a leggere l’originale. Io credo che molte opere, se non fossero state parodiate dalla scuola italiana di Disney, non sarebbero state poi cercate. Alcune generazioni come la mia sono state obbligate a leggerle, ci era stato imposto. Ma se io leggo prima la parodia, e mi piace, poi sono motivato a considerare l’originale.
Infatti le parodie Disney italiane sono state tantissime (oltre una settantina, n.d.r.): Ettore Fieramosca, I Promessi sposi, Don Chisciotte, il Conte di Montecristo, l’Iliade, l’Odissea, Cyrano, tanto per citarne alcune.
Sì, praticamente tutte. E in tanti poi, dopo averle piacevolmente divorate, sono andati a vedersi gli originali apprezzando al contempo le differenze.
E una trasposizione realistica (a parte i romanzi di Salgari, che hanno beneficiato di diversi adattamenti)?
Ci sono stati titoli come I miserabili di Victor Hugo, ma non ne ricordo di meritevoli. Vedo il fumetto come un mezzo per raccontare qualcosa, questo sì, ma non ho presente titoli di trasposizioni lodevoli.
Oppure abbiamo lavori di indubbio pregio a scopo didattico come La storia d’Italia di Enzo Biagi, per raccontare il nostro passato. Ecco, il fumetto ha fatto anche questo: ha proposto la Storia alla portata – e alla curiosità – di tutti.
Penso poi a capolavori che invece di essere stati trasposti nel fumetto, hanno stimolato autori a creare trame nuove. Per esempio Tutto ricominciò con un’estate indiana di Pratt e Manara, ispirata a La lettera scarlatta di Hawthorne.
Sì, infatti. Ci sono autori che copiano un’opera limitandosi a una trasposizione disegnata e chi, partendo da uno stimolo narrativo, crea poi con la propria fantasia saghe inedite. Pratt e Manara erano così.
E la trasposizione da fumetto a cinema?
La vedo sempre molto male. Il cinema ha potenzialità che il primo non possiede. Non c’è paragone. Ciò che esce da un film è diverso da ciò che è il fumetto. O disponi di grandi mezzi tecnologici ed economici – vedi la Marvel – altrimenti non funziona. I fratelli Manetti, per fare un esempio, hanno avuto una buona idea con Diabolik ma già il secondo film non ha riscosso il medesimo successo del primo.
Se pensiamo poi al Tex di Tessari con Giuliano Gemma… (Tex e il signore degli abissi, di Duccio Tessari, 1985, n.d.r)
Per carità! Lasciamo stare; da velo pietoso.
Gli argomenti sono ancora tanti e meriterebbero maggiori approfondimenti. Ci basta però aver definito qui i punti essenziali del problema. Grazie Gianni per la tua disponibilità e cortesia.
È vero: ci sarebbe molto da dire.
Grazie pure a te.
Nicola Ruffo, marzo 2023