“LO ZOO DI VETRO” AL CAMPLOY. RECENSIONE.

 adattamento e regia Leonardo Lidi con (in ordine alfabetico) Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Mario Pirrello, Anahì Traversi scene e light design Nicolas Bovey costumi Aurora Damanti sound design Dario Felli assistente alla regia Alessandro Businaro foto © Masiar Pasquali


 foto © Masiar Pasquali

Un Teatro Camploy gremito a Verona per la davvero interessante messa in scena di “ Lo zoo di vetro” ( il teatro vince su Sanremo) del 4 febbraio 2022, produzione LuganoinScena/Lac Lugano Arte e Cultura.

Curiosa la regia di Leonardo Lidi, che immagina i personaggi del romanzo omonimo di Tennesse Williams simili a quelli clowneschi dei quadri di Hopper, cui aggiunge una stilizzazione liberty che li rende sospesi tra un’irrealtà disegnata, su uno sfondo rosa minimale, e un’intensità emotiva analizzata al microscopio, con un sapiente gioco psicologico introspettivo.

E’ impossibile non pensare al rimando nel titolo dei delicati oggetti in vetro, custoditi dalla figlia Laura, simbolo della sua incantata fragilità, sospesa nel proprio mondo immaginario e gravemente offesa in una gamba, ottimamente interpretata da Hanai Traversi , controbilanciata dalla madre Amanda Wingfield, attualizzata da una bravissima Mariangela Granelli, che cerca di far fronte alle difficoltà dei figli.

Merita una particolare sottolineatura la magistrale interpretazione di Mariangela Granelli, attrice già nota e pluripremiata, che toccando le giuste corde con equilibrio e misura , riesce anche a restituirci il ritratto di una madre di oggi, nella complessità del duplice rapporto con il figlio maschio e la figlia femmina.

Le premesse dello spettacolo, affidate alla voce di uno splendido e poetico Tindaro Granata nei panni di Tom, a sipario appena alzato, “ che si racconterà la verità attraverso l’illusione”, verranno pienamente assolte, con meccanismi di gioco teatrale quasi perfetti nel ritmo, nel sapiente utilizzo degli spazi e nella originale successione delle scene colorate di Nicolas Bovery che ne disegna anche le luci. Intriganti anche i costumi di Aurora Damanti.

Nulla è fuori posto in questa messa in scena minimale, in una consapevolezza ed attenzione allo spazio scenico, oggi non più così scontato in molte nuove produzioni.

La regia, curata nei dettagli, rende tutto estremamente naturale ( necessario), compresa la bellissima incursione di una datata pellicola in bianco e nero di Topolino, che aggiunge valore ad una già raffinata ricerca estetica, tutto fino all’ingresso di Jim, (Mario Pirrello) personaggio di rottura.

Con Jim la realtà disincantata irrompe a turbare il delicato gioco di equilibri che i tre protagonisti cercano di salvaguardare, pur nelle rispettive conflittualità e debolezze. A Jim il compito di disgregare sogni, aspettative, di togliere speranze e di far crollare il castello di carta.

Però Jim ci è anche parso un personaggio eccessivo, strabordante, ( solo lui) ponendoci delle domande sia sul suo personaggio complessivo, che cozza con tutto il resto anche nello stile interpretativo, sia sulle reiterate sottolineature in difesa della differenza e della disabilità, rivolte direttamente al pubblico, in un limbo tra l’ammiccamento e la provocazione moralistica.

A prescindere dalla perplessità su quest’ultima nota, lo spettacolo è un gioiello di abilità, in cui tutte le componenti s’incastrano perfettamente e si rinforzano reciprocamente, grazie alla sinergia tra una regia intelligente e competente e all’interpretazione esemplare dei protagonisti.

Lunghi applausi.

Emanuela Dal Pozzo