LA VIDA ES SUENO ALLA PILOTTA DI PARMA. RECENSIONE.

Lenz Fondazione, La Vida es Sueño - foto di Francesco Pititto (3)Alla Pilotta di Parma, fino al 22 giugno, l’installazione performativa La Vida es Sueño da Calderón de la Barca.

Lenz Fondazione propone la seconda tappa del suo progetto artistico intorno al capolavoro dell’autore spagnolo che si concluderà, sempre nel complesso museale della Pilotta, nel 2020 in occasione di Parma Capitale Italiana della Cultura.

Questa seconda tappa ha visto come sempre la presenza e la collaborazione di attori sensibili, anziani, bambini e professionisti del mondo teatrale che hanno intrecciato le loro specificità nel solco di quella rigorosa ricerca linguistica ed espressiva che contraddistingue da sempre Maria Federica Maestri e Francesco Pititto.

Il tema della fragilità della vita e della sua caducità, del dolore individuale e collettivo, dell’attimo fuggente – soffio più che divino estremamente mortale – che è l’esistenza umana – di matrice preminentemente etica e filosofica ne La Vida es Sueño – si sposa perfettamente con l’installazione approntata da Lenz all’interno dell’Ala Nord della Pilotta.

Se le immagini proiettate rimandano a Giobbe di Antonio de Pereda, quadro presente nella stessa Galleria Nazionale, ancor di più le brandine da ospedale o da contenimento degli ex ospedali psichiatrici, dialogano in perfetta armonia con i tubi innocenti sospesi – i quali, a loro volta, per volontà dell’architetto Guido Canali che curò, negli anni 70, la ristrutturazione della Pilotta – denunciano i meccanismi, reali e simbolici, che reggono qualsiasi esposizione museale, rimandando inconsapevolmente e in maniera metateatrale a quegli stessi meccanismi che conducono i giochi (il to play) della scena e, nel capolavoro di Calderón de la Barca, i successivi stati tra il reale e l’onirico che regaleranno a Sigismondo la consapevolezza.

L’installazione, quindi, è punto di forza di questo auto sacramental che, attraverso immagini allegoriche conduce il protagonista, l’everyman e lo spettatore attraverso stati di conoscenza sempre più profondi e dolorosi – sostituendo alla celebrazione dei sacramenti originaria, quella della stoica accettazione di matrice filosofica propria del protagonista (e dell’autore).

Una tale scelta, però – almeno nella versione alla quale abbiamo assistito, ma sappiamo che altre sere il pubblico ha potuto fruire della performance rimanendo in piedi e muovendosi liberamente tra i vari luoghi deputati – è stata inficiata dal posizionamento degli spettatori, seduti frontalmente, il che – oltre a rendere difficile e parziale la visione a coloro che fossero alle estremità della sequenza di luoghi deputati – ha innalzato nuovamente la quarta parete, denaturando la scelta stessa della forma rappresentativa e rendendo alcune immagini ridondanti (per fare un esempio, laddove le proiezioni si susseguono più o meno uguali a sé stesse, se lo spettatore le nota passando avrà sempre una visione parziale che si rinnoverà e completerà nel tempo, mentre se resta seduto nello stesso posto si accorgerà alla lunga della loro ripetitività).Lenz Fondazione, La Vida es Sueño - foto di Francesco Pititto (8)

A livello visivo – complici anche maschere e costumi – ed espressivo – grazie a quell’incarnazione, in figure della nostra contemporaneità, di archetipi e temi etico-filosofici provenienti dal mondo letterario – si rintraccia ancora una volta la forza di Lenz. Quella sua capacità di scorticare l’anima soprattutto in alcuni dialoghi, come quello tra Sigismondo (o L’Uomo bambino) e l’Uomo, tra quest’ultimo e il Principe delle Tenebre e nel limpido finale (dove la voce di Sandra Soncini si fa canto del cigno).

A livello strettamente drammaturgico, però, la sottotraccia de La Vida es Sueño è troppo flebile per essere letta tra le righe (a meno di non conoscere bene il testo originale) e, d’altro canto, la forza dell’auto sacramental, della sua epifania imago-allegorica si mostra e dimostra soverchiante – sposandosi perfettamente con l’impianto scenico e con quella poetica scorticante che, come si scriveva, caratterizza al meglio il lavoro di Lenz, mettendo a nudo l’animo umano e i suoi abissi di dolore ma anche le sue aspirazioni al sublime.

Occorre infine aggiungere che, a livello estetico, il lindore asettico delle geometrie trova maggiore forza là dove si scontra con la sporcizia (le coperte sparse a terra), il brutto e l’impudicizia (il dialogo tra l’Uomo e il Principe delle Tenebre), ossia dove Venere si abbandona tra gli Stracci, perché il sublime si raggiunge nel grottesco, e il grottesco – come il teatro – deve sporcarsi le mani per colpire al cuore.

Simona M. Frigerio

Visto alla Pilotta di Parma, venerdì 14 giugno 2019