LO SFORTUNATO ESORDIO DEL FESTIVAL VERDI 2016 A PARMA CON IL DON CARLO

don-carloDecisamente infelice l’ultima recita della produzione di “Don Carlo” scelto quale spettacolo inaugurale del Festival Verdi 2016 di Parma.

A parte infatti il malore che ha costretto il titolare del ruolo del Marchese di Posa, Vladimir Stoyanov, ad abbandonare la recita dopo le prime battute del duetto con il tenore (che per una forma di correttezza verso le condizioni dell’ artista non avrebbe neanche dovuto iniziare) in quanto il baritono è praticamente collassato in scena e, dopo una lunga pausa, si è ripresentato per terminare il duetto (sic!), lo spettacolo è risultato, per numerosi aspetti, lacunoso dal punto di vista sia musicale che teatrale ed assolutamente non all’altezza di un teatro dalla granitica tradizione quale il Regio di Parma.

La scelta del regista Cesare Lievi era già ben in evidenza dalla I scena dove una marmorea lastra tombale, dinanzi alla quale troneggiava un’immensa corona di alloro, dominando il palcoscenico celebrava il defunto Carlo V, tradendo una chiara intenzione di grandiosa solennità a scapito del dramma ben più intimo dei caratteri.

Procedendo, la pièce si snodava in una serie di scene a metà tra la tradizione ed una sua presunta ed ‘innovativa’ interpretazione (la danza delle dame di corte) calcando la mano su quadri didascalicamente concepiti (‘autodafè’) per veicolare sostanzialmente un’atmosfera di angoscia e di chiusura (i personaggi difficilmente avevano rapporti tra di loro ma restavano rinchiusi nella prigione del loro animo) che, se sviluppata maggiormente, avrebbe potuto forse sortire un effetto migliore sia sotto un profilo concettuale che prettamente drammatico e spia, in questo senso, il carro carico di libri presente nella già citata scena che chiudeva il II Atto.

Serata difficoltosa anche per il cast impegnato in palcoscenico.

José Bros, forse influenzato dall’aura negativa della serata, evidenziava nel canto molta tensione, mettendo in evidenza non tanto il nitore del timbro quanto piuttosto la mancata omogeneità dello stesso che, specie nel registro acuto, sembrava non sufficientemente sostenuto da una respirazione equilibrata. Di conseguenza, ultima preoccupazione dell’artista è stata quella di curare fraseggio ed accento che invece, spesso, possono essere la chiave di volta vincente per fronteggiare alcuni momenti difficili.

Serena Farnocchia si portava con professionalità, cantando con la vocalità che le appartiene e che non brilla certo per particolare ricchezza negli armonici e per rotondità di suono, ma fa ciò che deve con lo strumento che ha, risultando anch’essa completamente avulsa dal tessuto drammatico.

Il baritono Gocha Abuladze, entrato al volo nel II Atto, pur non possedendo uno strumento eccezionale lo usava con intelligenza e, a parte un po’ di naturale tensione iniziale, cantava con attenta professionalità mettendo in pratica proprio ciò di cui in precedenza si accennava e, interpretando il suo personaggio con giusta attenzione, portava a termine con decoro la recita.

La Principessa Eboli di Marianne Cornetti si distingueva certo per vocalità possente ma restava molto lontana da una felice caratterizzazione del suo ruolo, centrale per lo svolgimento del dramma.

Sull’interpretazione del ruolo di Filippo II da parte del basso Michele Pertusi si potrebbe discutere a lungo, e questo è già un grosso risultato. La sua vocalità, sempre pastosa e di gran classe, pur non conoscendo lo spessore drammatico che il ruolo imporrebbe, permetteva all’artista di delineare con cura ombre e chiaroscuri grazie ad una sapiente professionalità, musicale e sempre attenta ad accenti e fraseggio.

Di grande interesse l’autorevole timbro del Grande Inquisitore Ievgen Orlov, sempre concentrato sulla parola e Simon Lim, impegnato nel ruolo del frate.

Completavano il cast: Lavinia Bini (Tebaldo), Gregory Bonfatti (Conte di Lerma/ araldo reale), Marina Bucciarelli (voce dal cielo) e Daniele Cusari, Andrea Goglio, Carlo Andrea Masciadri, Matteo Mazzoli, Alfredo Stefanelli, Alessandro Vandin (deputati fiamminghi).

Il M° Daniel Oren, sostanzialmente indifferente a ciò che accadeva in palcoscenico, dava la sua lettura della partitura, dando l’impressione di ignorare la responsabilità che il suo ruolo gli impone e che lui, da professionista qual’è, fin troppo bene conosce.

Un pubblico, in gran parte straniero, accoglieva con caldi applausi gli interpreti a fine recita .

Parma, 11/10/2016

SILVIA CAMPANA