VOLTERRA. LE TANTE FACCE DI UN FESTIVAL. REPORT

volterrateatro 2015 la citta sospesa“La città sospesa”, titolo emblematico del Festival di Volterra, quest’anno dal 20 al 26 luglio 2015 e ampiamente commentato nella presentazione dello stesso da Armando Punzo, direttore artistico della Compagnia della Fortezza, racchiude in sé una molteplicità di significati, oltre quelli già esplicitati da Punzo (“città colta nell’atto d’interrompersi”, “città laboratorio in cui si lavora a fare l’uomo”, “città di soglie e crepuscoli, in cui l’arte sposa ore e luoghi inconsueti, meravigliosi, feriti e commossi”, “città di luoghi vicini all’infinito” e così via) perchè qui a Volterra, piccola roccaforte che domina uno scenario naturale in cui l’occhio indugia a lungo senza inciampi abbracciando un panorama da vertigine, tutto ruota intorno ad una fortezza, oggi casa di reclusione che ospita più di un centinaio di detenuti dalle pene severe, alcuni dei quali coinvolti in un importante progetto teatrale condotto dalla Compagnia della Fortezza.

In questo modo il Festival diventa luogo di riscatto, banco di prova, “ via di fuga” esistenziale per i detenuti di Volterra, uomini diversamente destinati ad anni, spesso ad un’intera vita, di solitudine ed emarginazione, rimossi dalla coscienza collettiva: esistenze definitivamente cancellate oltre le mura del carcere come in ogni altra città.

Il fatto è che questo significativo esempio di teatro all’interno di una struttura chiusa non è così frequente, nonostante le promesse di percorsi rieducativi spesso disattese, così come non è frequente considerare il carcere parte del territorio, come se norma e devianza non fossero strettamente connesse in una quadro interpretativo sociale globale: c’è una storia sociale sottesa ad ogni condannato.

Questa premessa è d’obbligo perchè se poi manca questa interrelazione nell’analisi di un contesto sociale può poi succedere che singoli pezzi di questo contesto vivano di vita propria, schegge impazzite di un ingranaggio incapace di governarle o dotate di leggi proprie, ai più oscure.

Attorno a questo esperimento pilota della Compagnia della Fortezza, che si protrae da diversi anni sotto la guida del regista Armando Punzo, che anno dopo anno propone uno spettacolo con i detenuti del carcere per l’occasione attori, nucleo centrale del Festival, giungono altre Compagnie, vengono elaborati altri progetti, laboratori e mostre, allestiti tanto nella casa di reclusione che nel territorio circostante.

In determinate ore il carcere viene aperto al pubblico. Gli spettatori per entrare si sottomettono ad una serie di controlli, ma nessuno si lamenta: il carcere è motivo di attrattiva sociale, curiosità nei confronti di un luogo solitamente inaccessibile e non sappiamo se mossi anche da quel “gusto del perverso” che induce spesso l’italiano medio a visitare i luoghi delle tragedie: dall’incidente della Concordia al largo dell’isola del Giglio, fino ai luoghi alluvionati o terremotati in un triste pellegrinaggio a caccia di emozioni forti.

Di certo una fetta di popolazione, seppur esigua, varcando prima la porta sbarrata della Fortezza di Volterra, poi incrociando i corpi e gli sguardi dei detenuti attori durante lo spettacolo, si accorge della loro esistenza ,entra in contatto diretto con la loro fisicità, viene percossa dalle loro voci, attratta da immagini e da suggestioni sonore, tutti frutti di un lavoro scrupoloso ed attento a far emergere con verità insospettabili brandelli di umanità tra grida strozzate e visioni apocalittiche, in un tempo “sospeso” tra la memoria e il sogno.Compagnia della Fortezza Shakespeare.Know Well 10 foto di stefano vaja

Perchè è questo ciò che profondamente rimane nell’esperienza individuale e nell’immaginario collettivo degli spettatori dopo la visione dello spettacolo “Shakespeare. Know Well”, aldilà delle innumerevoli citazioni drammaturgiche e simbologie scenografiche a costituire l’ossatura di un’opera talmente ricca di sollecitazioni da costituire un labirinto inestricabile fisico e barocco : la “verità” scenica dei suoi protagonisti, ricchi di quella prorompente urgenza attoriale oggi così difficile da trovare, al punto che tanto la sensibilità estetica, il rigore formale e la colta ricchezza drammaturgica di Punzo, che in altro contesto avrebbe probabilmente catturato in pieno l’attenzione, sollecitando scenari ed immaginari più disparati ( si può pescare a piene mani dalla storia teatrale e non solo) qui passa in secondo piano, di fronte alla bellezza-verità degli attori.

In questa breve e densa incursione a Volterra durata un giorno ci siamo imbattuti in un altro spettacolo meritevole di lode: “Nuvole.Casa” con Chiara Guidi/ Societas Raffaello Sanzio, uno spettacolo profondo e raffinato dal testo di Elfriede Jelinek, nato per le biblioteche e realizzato nella Fortezza Medicea di Volterra in una stanza di 9 metri per 3, biblioteca e sede della Compagnia della Fortezza. In un’interpretazione minimalista e partecipata si celebra ufficialmente il gusto della parola estromessa dal suo contesto: pagine strappate dai libri e ricomposte con senso ma indecifrabili nell’insieme, la celebrazione di un rito, assecondato dalle musiche originali di Daniele Roccato al contrabbasso e interrotto a tratti dal giovane Filippo Zimmermann.

La lacerazione delle pagine si sovrappone a quella del tempo: un tempo che richiede radici per poter riflettere e che rimanda all’evoluzione di una storia e a gesti di memoria.

Imperscrutabile e ricco di sfumature, proiettato in avanti ma con il pensiero rivolto a solide radici, questo assemblaggio di suoni e ragioni tocca corde profonde al punto di diventare sintesi artistica: un gioiellino teatrale ricco di evocazioni.

I Festival sono sempre dei piccoli cataclismi, dei cicloni che arrivano ad impossessarsi di un luogo circoscritto, delle invasioni più o meno inquinanti che mutano il rapporto con l’ambiente e che per questo vanno strategicamente previste, predisposte e incanalate.

I Festival possono essere recepiti con sgomento dai residenti che avviano immediate procedure di distacco, disinteressandone, ignorando, o al contrario speculando quando i commercianti locali improvvisamente ne subdorano l’affare: i prezzi si impennano, ci si improvvisa in offerte di servizi spesso inadeguati, perchè le risorse a disposizione non sono sufficienti, perchè l’ambiente fisico stesso non ha una ricettività capace di sopportare un assalto massiccio di persone.

Per tutte queste ragioni i Festival vanno pianificati con attenzione, in sinergia con il territorio che li accoglie, nella consapevolezza dell’ eccezionalità di un evento che accanto all’apporto positivo di nuove culture può dimostrarsi tanto devastante sul piano ecoambientale quanto al contrario illuminante sul piano delle “buone pratiche”, tanto irrispettoso del contesto in cui avviene quanto sensibile alla lettura del territorio e della sua storia.

Le buone pratiche si sedimentano nel tempo e lasciano traccia di sé, costruiscono percorsi della memoria, si intrecciano con il preesistente capaci di offrire nuovi sguardi e nuove letture, perchè le trasformazioni culturali hanno bisogno di radici per essere davvero reali.

Emanuela Dal Pozzo