IL “NATALE IN CASA CUPIELLO” SECONDO LATELLA ALL’ARGENTINA DI ROMA. RECENSIONE.

Perplessità, ma anche apprezzamenti, tra le file gremite del Teatro Argentina di Roma il 30 dicembre 2014, alla discesa del sipario della rilettura del regista Antonio Latella della famosa opera di Eduardo De Filippo “Natale in casa Cupiello”, produzione del Teatro di Roma.

Lo spettacolo, in cartellone dal 3 dicembre al 1 gennaio 2015, non è di certo passato inosservato, spartendo consensi e dissensi, grazie a questa coraggiosa, ma anche decisa nel taglio, reinterpretazione, che togliendo la consueta ambientazione scenografica, ha rianalizzato l’opera sviscerando i nessi di senso e disseminandola di simboli, anticipando fin da subito questa intenzione

con un’enorme e brillante stella cometa iniziale ad occupare il palcoscenico al posto degli attori, in piedi e in immobile fila a raccontarci il testo originale comprensivo della citazione di umori, descrizione dei personaggi e spostamenti, quasi a volere indicare che l’interpretazione emozionale e di senso sta altrove e più precisamente nella ricca articolazione delle dinamiche interpersonali e nella rappresentazione simbolica dei personaggi stessi.

Così un antico carro funebre, trascinato nel palcoscenico da Concetta, moglie di Luca Cupiello e abitato dai personaggi dello spettacolo in un gioco di posizioni che si scambiano, diventa metafora della comunicazione e rappresentazione dei loro rapporti: di forza o di sudditanza, di rivalità o di complicità, mentre dall’alto la voce di De Filippo più volte ammonisce che il presepe è tutto da rifare. I personaggi recitano svuotati del proprio pathos e la loro sembra più la rappresentazione di una danza che valica l’esperienza privata: la corrosione degli affetti nei rapporti familiari, il significato stesso del Natale, snaturato nei valori primitivi ( illuminante l’ultima scena in cui Luca malato e indifeso in un letto /culla di legno assomiglia al bambin Gesù, innocenza e aspettativa tradite) diventano simboli di una corruzione superiore, i personaggi agitano e si scambiano fantocci di pezza, rappresentazioni grottesche di animali che ricordano i lauti pranzi delle festività.

Nell’ultima parte il dramma si compie. Gli accenti vengono caricati e la recitazione diventa canto lirico, ad opera del dottore e contraltista Maurizio Rippa, che intona la famosa aria di Basilio da “Il barbiere di Siviglia”: “La calunna è un venticello”.

Luca Cupiello è nudo, indifeso e malato, disteso in una sorta di culla/letto di legno, circondato dalla famiglia in lutto in attesa dell’inevitabile.

E’ molto intensa l’atmosfera sospesa che si respira, da un lato nell’attesa di un dramma annunciato e al contempo pervasa dai pensieri, dalle preoccupazioni e dalle aspettative tradite del protagonista che fino all’ultimo non smette di sperare. Poi la morte si compie, una morte agita, direttamente provocata, che ancora una volta sottolinea l’interpretazione di senso data dal regista, più attento alle intenzioni e ai loro significati rintracciabili nel testo che alla descrizione delle azioni dei personaggi, così come il quadro finale con cui si conclude l’opera, ricco di rimandi e di una sintesi illuminante di presepio vivente. E’ l’ultimo atto il più teatrale, denso, spettacolare ed emotivamente pregnante, quello che restituisce senso al tutto e che riscatta anche i momenti di analitica freddezza che lo hanno preceduto.

Lo spettacolo è complesso, non quindi di immediata lettura. Bisogna accostarvisi con sensibilità estetica ed apertura mentale, rinunciando alla sua comprensione quale semplice trasposizione del testo originale, ma soprattutto richiede una qualità attentiva interattiva con la scena.

E’ pur vero che questa operazione analitica fatta a monte può generare sospetto nei più, non solo per una sensazione complessiva di sbandamento venendo a mancare i consueti riferimenti linguistici, ma anche per una sensazione di freddezza che questa rielaborazione comunica anche, oltre alla ricca simbologia che rimanda ad una comprensione meno viscerale, nella voluta recitazione” oggettiva “ o carente spesso di pathos, peraltro controbilanciata dall’ intensa interpretazione della madre che esalta tanto la napoletanità della piece quanto la continuità con la tradizione.

Uno spettacolo ricco e composito , che può spiazzare e quindi rompere l’unanimità di consensi, ma al quale riconosciamo, aldilà dell’apprezzamento personale, una coerenza stilistica interna e il tentativo di un’aderenza alla poetica di De Filippo, nella lettura più attenta e profonda delle sue spinte, non scevre di quel pizzico di cinismo capace di guardare oltre.

Emanuela Dal Pozzo

Personaggi e interpreti:

Luca Cupiello Francesco Manetti

Concetta sua moglie Monica Piseddu

Tommasino il figlio Lino Musella

Ninuccia la figlia Valentina Vacca

Nicola suo marito Francesco Villano

Pasqualino fratello di Luca Michelangelo Dalisi

Raffaele portiere Leandro Amato

Vittorio Elia Giuseppe Lanino

Il dottore Maurizio Rippa

Carmela Annibale Pavone

Rita Emilio Vacca

Maria Alessandra Borgia

drammaturgia del progetto Linda Dalisi

scene Simone Mannino e Simone d’Amico

costumi Fabio Sonnino

musiche Franco Visioli

luci Simone De Angelis