“ BOLLE” AL TEATRO SCIENTIFICO E IL TEATRO, QUELL’ESPERIENZA CHE CI CAMBIA. APPUNTI PER UN DIBATTITO.

Lo spettacolo di “Bolle”, in scena a Verona al Teatro Scientifico-Teatro Laboratorio il 20/1/2013, è una di quelle “chicche” che avrebbe meritato un pubblico più numeroso di quello capace di contenere la sala dell’Arsenale, sede della Compagnia Veronese che da anni, quasi solitaria nel panorama cittadino, propone teatro di qualità, ospitando quanto di meglio ( e spesso purtroppo di poco conosciuto) esiste, nel più allargato teatro di ricerca italiano.

Del Teatro Laboratorio si è già parlato abbondantemente nelle edizioni precedenti del giornale.

Ciò che forse non si è detto con sufficiente forza è che il teatro di ricerca sembra avere vita difficile nella città veronese, spartita tra le Compagnie di nome che calcano i grandi teatri e il teatro amatoriale, realtà vivissima e presente: innumerevoli i gruppi che si cimentano in scena.

E’ vero che a volte esistono all’interno delle Compagnie amatoriali attori capaci, per competenze tecniche acquisite nel tempo, ma ciò basta a rendere uno spettacolo interessante? L’attore è lo strumento o il fine? E quanta importanza ha una regia “colta” e attenta nella messa in scena di uno spettacolo? Ed è più importante che una messa in scena ci lasci qualcosa nell’animo o che sia un intrattenimento in cui ridiamo un paio di ore? E quanto contano una formazione e una cultura teatrali? Attori si nasce o si diventa?

Spesso mi capita di parlare con organizzatori locali e di spiegare che il giornale non si occupa di teatro amatoriale, ( che senso ha recensire un gruppo che fa teatro per divertimento?) nè delle Compagnie di cartellone dei grandi teatri, già abbondantemente presenti nei media e la risposta immancabilmente è: e quale altro teatro esiste? Dovrei rispondere quello professionista, per contrapposizione a quello amatoriale, ma la risposta è corretta solo in parte ( la diatriba tra teatro amatoriale e professionista esiste da tempo, legata a questioni economiche, fiscali e di utilizzo degli spazi, soprattutto ora in tempo di crisi quando le esigue risorse in gioco mettono facilmente l’uno contro l’altro).

In realtà ci interessa tutto quel teatro che ha qualcosa da dire, che per ragioni estetiche, di contenuto, di invenzione, ci propone soluzioni nuove, senza mai dimenticare che il linguaggio( anche quello teatrale) è un mezzo, non un fine. Ci interessa il teatro “impegnato” perchè impegna le energie ( anche mentali) di chi lo agisce (gli attori) e muove quelle di chi lo “subisce” ( gli spettatori), indipendentemente se sia comico, ironico, poetico, serioso o drammatico.

Ma chissà perchè il termine “teatro impegnato” spaventa. Viene immediatamente associato, a torto, al teatro drammatico, cupo, lungo nei tempi e nei ritmi, quello da cui si esce dicendo: “ Si, bravi, ma non lo capisco, non sono preparato….” dimenticando che, se questa è la reazione, quello non era teatro vivo.

Aldilà delle etichette, per ragioni di tempo richiesto, di preparazione e formazione e anche di sovvenzioni, questa tipologia di teatro capace di approfondire contenuti e stili, di scavare nel testo a rintracciare suggestioni motivanti, d’inventare soluzioni nuove comunicative e di linguaggio, si trova spesso nel teatro professionale, spesso, ma non sempre: ci sono eccezioni in ambo le parti.

D’altro canto se si continua a proporre teatro amatoriale” d’intrattenimento” nei teatri minori, perchè “attira” la gente, il pubblico finisce per pensare che sia quello il teatro: un luogo in cui non si deve pensare e in cui ciò che conta è il narcisismo degli attori, in gara tra loro a disputarsi la migliore prestazione.

Così Verona e i suoi abitanti , a differenza di altre città più vispe e in movimento, finisce per impoverirsi culturalmente.

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BOLLE

Tratto dal racconto “Bolle d’Infanzia” di Elisa Faccio, “Bolle” fa parte di quegli spettacoli che si distinguono per la capacità di lasciare un segno nello spettatore: l’eco di un’atmosfera, una malinconia che entra nell’animo, una suggestione di sensazioni che non possono lasciare indifferenti e che hanno la propria resa massima negli spazi piccoli, nei quali è più facile comunicare direttamente con lo spettatore, attraverso la naturalezza di un “accadere” scenico che non ha nulla di artificioso.

Commovente la brava Anna Zago, in un’interpretazione sincera, a tratti sussurrata, capace di trascinarci naturalmente nei suoi conflitti esistenziali ,mentre, sola in scena e costretta nelle quattro pareti domestiche, dilata il proprio spazio/prigione attraverso la memoria.

Riaffiora la sua vita a sprazzi, nelle sue relazioni più significative con la madre, negli odori e nei colori delle stagioni, nel rapporto affettivo con gli oggetti, nel desiderio di una comunicazione di sé capace di varcare la limitatezza dei propri strumenti.

Così la protagonista scrive “ ai posteri” le proprie riflessioni, sensazioni, paure, amplificate dallo stato di malattia in cui si trova, che nomina quasi per caso una volta sola, ma che incombe a sottolineare lo spartiacque tra la vita e la morte. (E’ proprio nel momento della perdita che apprezziamo maggiormente ciò che ci viene tolto.)

La bellezza dello spettacolo non deriva dalle tematiche trattate: vita, malattia e morte, e non è solo frutto di contenuti. E’ il gioco delle relazioni che contiene ad essere affascinante e pregno, nel quale la sensibile regia di Piergiorgio Piccoli convoglia” finalmente” una tecnologia “calda”, capace di arricchire lo spettacolo di immagini, colori, suoni, profumi, odori, sapori, sensazioni e nostalgie.

Uno spettacolo coinvolgente, produzione di Theama Teatro con le musiche originali di Federico Pelle, le luci di Sergio Baldin e la realizzazione video di Daniele Mastrotto.