FESTIVAL “ TRA TERRA E MARE” DELLE ARTI DI STRADA 2012 – LATISANA

 Si è aperto il 7 agosto 2012 il Primo Festival Internazionale delle arti di strada della Riviera Friulana: 15 spettacoli che fino al 12 agosto 2012 hanno coinvolto i comuni di Latisana, Lignano Sabbiadoro, Palazzolo dello Stella, Precenicco e Ronchis, invadendo strade e spazi urbani.

Piacevole ed effervescente il clima di attesa nelle piazze e nelle vie di Latisana sabato 11 agosto. Famiglie festaiole e rilassate attendono gli artisti che, nonostante i punti segnati nel programma, potrebbero sbucare da ogni angolo, perchè il Festival si apre con “ The Tamarros” una parata comico-musicale che farà da colonna sonora per tutta la serata.

Non tardano ad arrivare i tredici musicisti in abiti da “febbre del sabato sera”, come dice il programma.

Eccessivi negli abiti bianchi, paillet e lustrini, marcatamente finti nei parrucconi neri, l’orchestra di fiati e percussioni aggredisce simpaticamente la curiosità del pubblico, travolgendolo con le loro musiche” disco anni 80” e i loro atteggiamenti da latin lover attempati.

Il divismo impera, così marcato e sottolineato che nessuno ha dubbio sia autoironico: un prendere e prendersi in giro sul filo di “come eravamo”, ma anche del “come siamo”: aspiranti divi a caccia di occasioni.

La gente si assiepa intorno a loro. Accoglie con simpatia e sorrisi ciò che appare come un tornado, capace di sconvolgere con i propri ritmi impazziti la normalità di una serata vacanziera.KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

” The Tamarros” coinvolgono giovani, anziani e bambini, nello spirito di un festival di strada che non fa distinzione di pubblico.

La parata si sposta di piazza in piazza, intervallando gli spettacoli disseminati nel centro e accompagnando con naturalezza gli spettatori da un evento all’altro. E’ tutto vicino, tutto interessante e sorprendente, tutto incredibilmente gratuito e a portata di mano.

D’altronde “The Tamarros” di Ambaradan ( Bergamo) sono Premio della stampa al Festival Internazional Du Rire Rochefort- Belgio e premio della critica al Festival Le strade del Teatro di Abbiategrasso.

Un ottimo inizio di festival che per due giornate condurrà “per mano” abitanti e turisti agli eventi della serata. Gli eventi, allestiti nel susseguirsi di piazze del centro, nella maggior parte dei casi si succedono temporalmente, in modo da permetterne la visione a tutti.

C’è da sottolineare la puntualità organizzativa che vede uno staff numeroso di giovani e volontari impegnati a tempo pieno in questo festival e l’ottima direzione artistica di Cristiano Falcomer ,non solo elogiabile per la scelta degli artisti di strada, di alto livello complessivo e di spessore internazionale, ma anche capace di concentrare gli spettacoli in tempi ristretti e spazi urbani naturali.

Oltre all’Italia sono rappresentati il Belgio (Odile Pinson), la Spagna ( Vaiven Circo), l’Olanda (Daad), la Francia (Patrick Cotten-Moine), la Germania (Peter Weyel), l’Argentina (Circo Claxon).

C’è anche di che ingannare con piacere l’attesa.

Il Festival si abbina alla manifestazione “Calici di Stelle”- degustazione di vini e prodotti tipici, che permette a tutti, con modica spesa, di accomodarsi ai tavoli preparati lungo le vie per l’occasione.

INTERVISTA A CRISTIANO FALCOMER- DIRETTORE ARTISTICO DEL FESTIVAL DI LATISANA

falcomerTra uno spettacolo e l’altro avvicino il Direttore Artistico Cristiano Falcomer e gli chiedo un’intervista. Il giorno dopo ci incontriamo in uno dei locali di Piazza Indipendenza, punto nodale degli spettacoli in programma.

Più che un’intervista è un reciproco rapporto di conoscenza, perchè il forte interesse di entrambi verso il teatro nei suoi molteplici linguaggi, ci induce a tratti a parlarci a ruota libera, scambiando opinioni anche non direttamente chieste e sollecitando perplessità depositate nella reciproca memoria. Ci si rifà ad un percorso culturale passato e personale, ad esperienze in qualità di spettatori di altri spettacoli, nel tentativo non sempre facile, anche e soprattutto in ambito teatrale, di rintracciare un linguaggio comune che permetta una maggiore chiarezza comunicativa.

Ma chi è Cristiano Falcomer?

Cristiano Falcomer, Direttore Artistico della Compagnia I Lunatici, si diploma alla scuola di teatro Sergio Tofano e in canto lirico presso la scuola musicale di Cuneo. Tra i vari stage teatrali cui partecipa è guidato nell’impostazione vocale da Zygmunt Molik, attore del teatro laboratorio di Jerzy Grotowsky. Debutta nel 1997 dirigendo e interpretando Amleto. Nel 2001 interpreta Cavaradossi nella Tosca al Politeama di Asti, a fianco della soprano Tiziana Fabbricini.

Interprete di diversi spettacoli teatrali, ha partecipato anche a trasmissioni televisive e film RAI/TV.

Per predisporre questo Festival di strada, settore che definisce ancora “ pulito”, esterno a logiche che poco hanno a che fare con il teatro e l’arte in genere, ha visionato diversi spettacoli partecipando ai festival di strada europei più importanti.

Come nasce questo Festival?

Nasce quasi per caso, in un incontro informale in una di queste piazze con l’Assessore alla Cultura di Latisana. Anche se da diversi anni vivo e lavoro a Torino, come attore e regista della Compagnia Lunathica, sono originario di queste zone, abbastanza vergini dal punto di vista dei Festival, particolarmente di quelli di strada. Il teatro ha la capacità di valorizzare il territorio: richiama gente, se ne parla. Non vengono riscoperti solo i luoghi- in questo caso le splendide piazze del centro- ma essi diventano veicolo di comunicazione, tessuto di relazione. Confesso che, insieme all’assessore e al sindaco, considerando come in questo periodo estivo la sera le strade di Latisana fossero deserte, inizialmente non eravamo sicuri della bontà dell’iniziativa. Abbiamo rischiato mettendo in conto un possibile “flop”, invece, contrariamente alle più ottimistiche previsioni, il festival è stato un successo.

Quando pensi alla valorizzazione del territorio pensi anche al rilancio economico dei suoi prodotti? E’ per questo che avete abbinato il festival alla manifestazione “ calice di stelle”?

No. Questa non è un’idea del Festival ma una proposta dell’Amministrazione che ha voluto così consolidare questa tradizione già presente qui da diversi anni. Io penso che il teatro abbia una propria specificità indipendente da altro che non sia il gusto per il teatro. Ma ho accettato la proposta che aveva la qualità di attirare abitanti e turisti, anche se ho notato una separazione abbastanza netta tra i due tipi di pubblico. Chi ha cominciato a vederci martedì nei posti creati per l’occasione nei paesi limitrofi, poi ci ha seguito tutto l’arco della settimana. E’ venuto apposta per vedere il teatro. Il successo di pubblico di queste due sere conclusive a Latisana ne è la conferma.

Non può essere che anche chi degustava, se non altro per curiosità, si sia ad un certo punto fatto trascinare dagli spettacoli?

Beh, sarebbe stato davvero impossibile non farsi travolgere, dato il carattere delle proposte.

Parlando degli spettacoli che tu stesso insieme al tuo staff avete selezionato, vi siete lasciati guidare da un filo conduttore o da cos’altro?

Nessun discorso intelligente. ( Sorride) In teatro guardo tutto, senza filtri. Mi accosto al teatro con gli occhi curiosi di un bambino. Volevo offrire agli spettatori una panoramica di teatro di strada, che io chiamo anche nel titolo “arte di strada”, che fosse sufficientemente variegata e capace di “educare al teatro”. Lo spettatore ha diritto di giudicare e di dire questo mi piace e questo no. Ritengo sia molto importante occuparsi oggi dell’educazione del pubblico. Anche nella mia compagnia di teatro dedico molto tempo ai ragazzi e ai giovani. Anche questo Festival, pur essendo pensato per un pubblico adulto, non esclude il pubblico dei bambini. Al contrario tutti gli spettacoli scelti parlano un linguaggio comprensibile a tutti. Per me era importante creare un teatro di strada “urbano”, in cui la scenografia naturale della città facesse da sfondo e si integrasse con gli spettacoli. Ma diciamo anche che cerco nel teatro di strada il “teatro di sala”. Forse è questo che mi guida nella scelta degli spettacoli.

Cosa intendi per teatro di sala? Forse vuoi dire quella stessa tensione, quella concentrazione che esistono in un teatro reale?

Si, penso che si possa dire così. Quell’atmosfera che fa sì che sparisca intorno tutto il resto. Quando questo succede accade la magia del teatro che ha la capacità di proiettarti in altre dimensioni.

Pensi che il teatro di strada oggi regga in Italia o sia anch’esso in crisi?

Credo che regga. In Italia ci sono molte rassegne di teatro di strada. Anche in Piemonte, anche perchè ci sono scuole di circo sul teatro fisico, anche scuole importanti. Le compagnie quindi stanno crescendo. Certo la tradizione europea è più forte in quest’ambito, soprattutto quella francese.

E cosa pensi del teatro di ricerca? Esiste ancora secondo te oggi?

Non credo. Comunque non mi piace ragionare per categorie. Credo che non esista, intesa come categoria a sé. Il contesto oggi non lo permette più. Noi attori siamo tutti schiacciati e asfittici, “appesi per le palle”. Credo però che si possa rintracciare qualche volta all’interno degli spettacoli. Gli spettacoli che vedi qui hanno questa caratteristica: una loro originalità: racchiudono un pensiero, cercano una strada nuova. Confesso ad esempio di essere stato perplesso nel proporre in questo festival lo spettacolo belga di Odile Pinson. Mi sembrava troppo nordico per la nostra sensibilità. Invece è stato un successo. Non mi aspettavo nemmeno un pubblico così numeroso. Ora penso che il loro spettacolo sarà quello che gli spettatori ricorderanno più a lungo, perchè rappresenta, secondo me, una nuova frontiera del teatro di strada, per la novità del linguaggio e l’attualità delle loro proposte.

Sono d’accordo, anche perchè è uno spettacolo capace di unire più linguaggi e di fare un’analisi: insomma di spessore, rispetto ad altri. Invece sai complessivamente ho colto una certa aggressività provocatoria nei confronti del pubblico. Quando dico “aggressivo” mi riferisco a tante modalità e sfaccettature, compresa quella trasgressiva, spesso positive, a volte più inquietanti. Non sono stata capace ad esempio, di assistere alla performance di Peter Weyel “ Herr hundertpfund”. Sono arrivata lì in un momento particolare del suo intervento. Ha urtato la mia sensibilità e sono scappata, ma oggi ci riprovo.

Peter è incredibile. E’ sempre capace di colpire nel segno e di far riflettere gli spettatori sui molti nostri inconsapevoli luoghi comuni. Non ho potuto seguire la sua performance ma sono curioso anche io di vedere la sua prossima. Sono diverse una dall’altra. Questo spirito “ aggressivo”o trasgressivo che cogli negli spettacoli del Festival sono proprio quel tratto “intelligente”, capace di far riflettere.

Mi sembra di capire che questa Prima Edizione, visto il successo, sarà seguita da altre negli anni futuri.

Credo proprio di si, anche se non sarà facile mantenere l’alto livello degli spettacoli come quest’anno.

A questo proposito credo che un Festival di questa portata non sia costato poco, tenendo presenti anche le compagnie straniere.

Essendo nato dall’unione di più comuni limitrofi abbiamo potuto beneficiare di un contributo della Regione Friuli. Spesso i comuni limitrofi, più che collaborare, presentano rivalità che si sedimentano nel tempo, creando tradizioni di difficile cambiamento. Posso dire che per me è stato un vero piacere quando ho potuto unire, attraverso il teatro, i pubblici di due paesi confinanti, da sempre divisi dal letto di un fiume. Torniamo così a pensare al teatro come modificatore di relazioni ed opportunità di conoscenza dell’ambiente.

Cristiano Falcomer, che durante la lunga chiacchierata è rimasto sempre all’erta in caso di urgenze e problemi organizzativi da risolvere, ora è decisamente strattonato verso le luci di uno dei palcoscenici allestiti.

Salutandomi commenta: “ Vedi? Sono queste poi le cose che mi interessano: parlare con i tecnici delle luci, occuparmi del palcoscenico. Sono queste le cose che fanno il teatro, aldilà dei discorsi più o meno intellettuali che mi catturavano un tempo.”

“ E’ comprensibile se sei anche un regista” commento, ma penso anche all’affermazione del Theatre du Soleil: “ La condizione dello straordinario è il concreto” .

Alcuni tra gli spettacoli

LA CUISINE MACABRE

Un’inquietante carrozza nera arriva con il proprio oscuro carico e suoni sinistri tra le vie di Latisana. La gente accorre ad assistere ad uno spettacolo che sembra uscito dalla copertina di un polveroso libro del passato, quando intorno alla misteriosa carrozza si agitano un uomo e due donne dai costumi altrettanto stravaganti, a ricordare le carovane dei ciarlatani di un tempo che fu. Il dialogo tra i tre, rozzo ed essenziale, molto più mimico e gestuale che parlato, si concentra sull’armamentario di una cucina improvvisata da campo, rudimentale e truculenta: coltelli ed asce affilate, arnesi che diventeranno vere e proprie armi, atte ad offendere sia gli ospiti della carovana che la spettatrice rapita dal pubblico e legata ad una sedia.

L’azione scenica prevede offerte di cibo disgustose, mentre con macabra ironia pupazzi simili a neonati vengono fatti a pezzi e cucinati, tra strepiti e strattoni, litigi e scene cruente (un paio di occhi vengono cavati), nella noncuranza che tradisce una normale quotidianità, fatta di panni da lavare, di fatica, sporcizia e trasandatezza.

Lo spettacolo surreale diverte il pubblico per l’ironia che lo pervade.

L’esagerazione drammatica diventa comicità.

Perfino la feroce scena finale diventa lieto fine, quando dalla carrozza esce sana e salva la spettatrice, dopo che litri di sangue sgorgano sulle ruote della carrozza a sancire la fine di una colluttazione.

Splendide le tinte marcate e la cura del dettaglio, tanto nell’azione che nella scenografia, di questo spettacolo di strada dal titolo “La cousine macabre”, produzione di Daad (Olanda), che ci riporta indietro nel tempo e forse ci parla degli “orchi” passati e presenti, forse della caccia alle streghe, ma che sicuramente stravolge per più di mezz’ora la nostra percezione del reale.KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

ET NUNC

Titolo indovinato per uno spettacolo di teatro- danza affascinante e poetico, capace di catturare l’attenzione del pubblico proprio per quella qualità di lirismo che non deriva solo dalla sua struttura drammaturgica, già di per sé complessa ed ermetica, ma soprattutto per l’estrema duttilità dell’unico danzatore in scena.

Un classico spettacolo “urbano”, della durata di 45 minuti, capace di porsi con forza in una via, in uno slargo, a ridosso di case e palazzi o con contorno di portici e vetrine: uno spettacolo che costruisce il proprio palcoscenico delimitando uno spazio, tacitamente invalicabile per il pubblico.

Capace di “preparare” l’animo dello spettatore all’ascolto, facendolo entrare immediatamente in comunicazione interiore con accorgimenti strategici prima dell’inizio dello spettacolo, il danzatore/attore/performer si lascia trasportare nelle atmosfere musicali, splendidamente scelte, con una ricerca espressiva del gesto e del corpo del tutto originali.

L’effetto è struggente in un’alternanza di immagini, sensazioni, emozioni, capaci di coinvolgere il pubblico e arrivando al cuore di tutte le età.

La forza a tratti trasgressiva di alcune fantasie dell’attore, che si diverte a giocare con la propria parte maschile e femminile, induce a riflettere, per quel garbo e quella “verità” attoriale che rendono poetica qualsiasi scelta fatta.

Pochi e fondamentali gli oggetti di scena, dai forti contenuti simbolici, che all’interno della performance vengono anche utilizzati come tramite di comunicazione con il pubblico: fiori coltivati con cura, un abito militare consunto e dismesso, fonte di ricordi passati e simbolo di un’autorità maschile in crisi, oggetti per l’utilizzo del fuoco, capi di abbigliamento in attesa di venire indossati. Imprevedibilmente, ad un certo punto dello spettacolo, il danzatore sceglie uno spettatore cui offrire un fiore e fare indossare l’abito militare , poi ne aspetta la restituzione.KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

Il contatto autentico con l’altro- spettatore, che avviene all’interno dello spettacolo, è altrettanto vero quanto l’intera esibizione.

Se nella prima parte il danzatore gioca con il fuoco, simbolo della forza maschile, creando effetti spettacolari di forte impatto visivo, nella seconda parte perde la propria connotazione maschile per indossare panni femminili: una camicia da notte bianca in pizzo, un velo da sposa. Da una consapevolezza “ attiva” maschile, passa ad un ruolo “passivo” femminile, più con la curiosità di chi intende esplorare territori intimi segreti che chi intenda fare dichiarazioni d’intenti.

Le interpretazioni razionali rimangono libere, perchè lo spettacolo muove la fantasia e il cuore.

Meraviglioso accorgersi del silenzio sacrale del pubblico e del vedere rinnovato, in una strada senza palcoscenico o effetti speciali, il senso più profondo del teatro: quella comunicazione particolare che avviene tra attore e spettatore, elementi simbiotici della stessa realtà.

ET NUNC -POESIA ED ENERGIA TRA TEATRO E PERFORMANCE

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERAVorrei e provo ad intervistare Alberto, il performer di Manonuda Teatro di Padova, ma mi accorgo che l’unico interesse reciproco è le modalità di preparazione dello spettacolo: il training, gli scogli, il tempo, gli ingredienti. Gli chiedo quanto incide la testa e quanto il corpo in uno spettacolo così particolare. Mi dice che sono ugualmente importanti, non perchè la testa guidi il corpo ma perchè lo controlla. Mi parla della consapevolezza corporea e contemporaneamente dell’importanza dell’ascolto della mente: “ Quando mi accorgo mentre provo o faccio lo spettacolo che nella mia mente si affaccia un pensiero compiuto, allora so che è il momento di cambiare.”

Penso che la “verità” attoriale, rara per la verità di norma, è anche quella che dovrebbe consacrare la qualità della performance ad evento significativo nell’incontro con il pubblico.

Per questa ragione il “teatro” e la” performance”, normalmente considerati due linguaggi diversi, qui, in questa esibizione, si fondono. Del teatro vengono mantenuti il valore del training, la storia artistica personale dell’attore, il suo livello tecnico e la sua professionalità attoriale, la struttura drammaturgica, l’analisi di un tema in chiave temporale; della performance l’immediatezza comunicativa e l’energia, presente e al contempo diversa, in ogni esibizione.

Quando chiedo all’attore come presenta la sua produzione, se come teatro-danza o performance, mi risponde che dipende dai contesti. Per lui non fa differenza.

In questa esibizione è evidente: l’incontro con il pubblico è fondamentale. L’interprete mi dice ad esempio che si interroga sugli accidentali spostamenti del pubblico.

“Se un bambino mi attraversa la scena mentre sto danzando, devo reagire o proseguire senza perdere la concentrazione? Cosa è più importante?”

L’energia dell’attore ogni volta arriva molto forte, stemperandosi o acquisendo vigore secondo l’evoluzione dello spettacolo, l’indugiare o meno su certe immagini o l’approfondimento di certe intuizioni, secondo una partitura canovaccio rispetto alla quale l’attore si abbandona, togliendo, aggiungendo o trasformando.

Si può vedere lo spettacolo più volte. E’ sempre ugualmente emozionante e pregnante. Ed è sempre diverso.

DO NOT DISTURB

E ‘ presente in Prima Nazionale e unica data in Italia, sul palcoscenico di Piazza Indipendenza a Latisana, il Vaiven Circo dalla Spagna, con lo spettacolo “Do not disturb”.

I quattro performer spagnoli intrattengono il pubblico con numeri di acrobatica, sul filo di difficili equilibri, giocando con una scenografia mutevole, che di volta in volta viene adattata alle proprie esigenze. Salti mortali ma soprattutto composizioni di gruppo per un gioco di squadra nel quale affiatamento, ritmo, precisione e bravura tecnica diventano gli ingredienti fondamentali.

Aldilà della bravura tecnica degli artisti di matrice circense, è proprio però l’ intelligente gioco scenografico il punto di forza dello spettacolo, ambientato all’interno di un luogo di lavoro in cui un cartello scandisce l’andamento della giornata: “non disturbare il lavoro”- “non disturbare la pausa”.KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

Nei due diversi momenti della giornata una ruota- ingranaggio gigante viene scomposta e ricomposta per acquisire mille valenze diverse, al servizio di esigenze pratiche e fantasiose, stupendo di volta in volta gli spettatori sia per le composizioni trovate che per il loro rocambolesco utilizzo.

Le immagini che così vengono create fanno viaggiare gli spettatori nella fantasia, guidandoli in altri ambienti svincolati dal contesto del luogo di lavoro.

Uno spettacolo ingegnoso adatto a grandi e bambini, capace di riscuotere consensi e simpatia nella piazza affollata.

Il pubblico applaude lungamente.

HERR HUNDERTPFUND

L’attore tedesco Peter Weyel, si appresta a cominciare lo spettacolo “Herr Hundertpfund”. Gli oggetti di scena sono costituiti dal contenuto misterioso di una valigetta chiusa. L’attore è abituato a lavorare per strada. A Latisana si trova nella stessa piazza del danzatore di Manonuda di Padova.

Il suo spettacolo inizia subito dopo e la gente non deve che attraversare la piazza. Mentre gli spettatori fanno cerchio intorno a lui, egli delimita con un gesso, camminando carponi, lo spazio scenico. Aggressivo e provocatorio da subito ne approfitta per osservare il pubblico. Fa una smorfia nel vedere numerosi bambini in prima fila e li invita ad andare altrove, magari a giocare sulla via principale dove passano le auto. Chiede a due donne in piedi vicine se sono lesbiche, poi chiede al pubblico l’orientamento politico e religioso. Estrae degli oggetti di giocoleria: palline, clave e mostra al pubblico che è capace di fare lo show- in effetti i suoi numeri hanno una certa difficoltà anche se non tutti riescono.KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

Il giocoliere dà in escandescenze e dimostra chiaramente che è scocciato: gli interessa altro e sembra concentrato sul pubblico. Comincia a spogliarsi e rimane in mutande, poi sceglie uno spettatore, gli offre da bere, cerca di convincerlo a seguire il suo esempio. Incredibilmente la sua capacità di persuasione convince l’uomo e poco dopo si trovano insieme ad osservare il pubblico, nel gioco evidente di uno scambio di ruoli.

Weyel chiede la collaborazione dello spettatore nel portare a termine un gioco di difficile equilibrio su una scala, infine annuncia un numero rivoltante. Avvisa il pubblico che ha la possibilità di rimanere pagando, o di andarsene senza dovere nulla. I bambini si alzano precipitosamente e scompaiono, suscitando l’ilarità generale, mentre il resto del pubblico rimane.

Weyel non eseguirà quel numero e lo spettacolo si chiuderà classicamente a cappello.

A CONTRE COURANT

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERASimpaticissima la piece di “clown contemporaneo” “A contre courant” di Odile Pinson (Belgio) in Prima Nazionale in questo Festival, allestita al Parco Gaspari di Latisana nelle serate di sabato e domenica.

Mentre una voce registrata loda la bravura della coppia modello, che sperimenta la completa autonomia energetica nella propria casa, con una serie di marchingegni rudimentali e geniali, imprevisti e difficoltà del vivere quotidiano sembrano rendere difficile il progetto ideale nella pratica.

La discrepanza tra buoni propositi e pratica di vita viene ancor più messa in luce dalle trasgressioni antiecologiste di lei, che di nascosto fuma sigarette e mangia piatti preconfezionati Mc Donald.

L’originale messa in scena fa ridere e sorridere, sia per le esilaranti situazioni che si vengono a creare nella precarietà dell’ingegnosa tecnologia, sia per la sottile ironia di cui è velata.

La perfezione di un sistema complesso se pur artigianale, congegnato per procurarsi da soli l’energia necessaria, tradisce le aspettative inceppandosi e portando una serie di errori a catena capaci di stravolgere la scena e di sfuggire al controllo dei due bravissimi clown.

In un palcoscenico spesso invaso dall’acqua, che costringe i due attori ad inventare soluzioni d’emergenza giocate sul filo di difficili equilibri acrobatici, ci si riconosce, con i nostri principi e le nostre contraddizioni, i nostri ideali e la nostra difficoltà di perseguirli.

Odile e Louis, i due giovanissimi interpreti dello spettacolo, sono due clown dalla comicità originale, di grande forza espressiva e capacità empatica, ospiti in numerosi festival internazionali di Belgio, Svizzera, Francia e Inghilterra.

Il pubblico sorride e segue incredulo il ritmo impazzito delle girandole d’acqua che improvvisamente compaiono nella casa “perfetta”, il divincolarsi delle anguille che sgusciano dalla vasca da bagno, l’affanno della coppia per ripristinare il ciclo dell’acqua, quando viene a mancare, pedalando una bici da casa, il coinvolgimento diretto di alcuni spettatori, ai quali viene chiesto di intervenire sul palcoscenico con precise istruzioni, la cucina dei pasti “alternativi”, con un’improbabile pentola a pressione e l’aiuto della fiamma ossidrica.

MIMO NARDINI

Un classico dell’arte di strada, lo spettacolo “Cartoons”del torinese Mimo Nardini, presente in piazza Garibaldi a Latisana, capace di unire il linguaggio del gesto all’espressività comunicativa, in una costante interazione con il pubblico.

Una presenza clownesca che lo legittima a giocare e a prendere in giro gli spettatori aggirandosi tra loro: chiede senza parole ad una donna anziana se il reggiseno che ha trovato nell’aiuola lì vicino sia suo, stringe contro il suo corpo una donna che accetta il gioco d’interazione nello spettacolo camminando sul suo tappeto rosso, propone scambi di viveri ai bambini che si aggirano con patatine e coca cole.KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

Pochi ed essenziali gli oggetti di scena per i propri numeri virtuosi: un ombrello a combattere una tempesta di vento, una valigia che varia di peso e che lo costringe a confrontarsi con un muro invalicabile, un palloncino ed una bombetta che si animano improvvisamente, mossi da fili invisibili.

Uno spettacolo che tradisce una vena poetica, nell’irriverenza fanciullesca con cui il mimo si accosta alla lettura del reale, ma sempre con quel tocco di delicatezza che non si spinge mai a colpire la suscettibilità dello spettatore: un “posso?” discreto, cui si fa fatica dire di no e dal quale si viene sempre ricompensati con una caramella.

LA GENTE HA BISOGNO DEL TEATRO DI STRADA

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERAIn via Rocca, una via pedonale del centro di Latisana, sufficientemente larga da permettere di ricavare uno spazio scenico, Francesca Mazzoccato, un’artista solista di strada di Lignano, sta controllando gli oggetti di scena e il trucco prima di cominciare lo spettacolo in programma alle ore 20,30, ma che verrà replicato anche in tarda serata e l’indomani.

Lo spettacolo si chiama “Varietà Prestige”, per attore e marionette.

Approfitto degli ultimi preparativi dell’attrice per farle una breve intervista.

Da quanto tempo lavori nel teatro di strada?

Da alcuni anni. E’ un genere che mi piace e che sento mio, dopo un percorso di formazione con le marionette. In realtà sono dieci anni che lavoro nel teatro. Porto i miei spettacoli nelle strade, nei festival ma anche nelle scuole.

Pensi che il teatro di strada abbia un pubblico particolare di affezionati?

Il teatro di strada, proprio perchè di strada, non seleziona, si rivolge a tutti. Poi ovviamente ciascuno ha le proprie preferenze. Capita ad esempio che gente che mi ha visto si sia ricordata e poi mi abbia chiesto di altre esibizioni, altri invece non hanno mantenuto rapporti. Il bello del teatro di strada è che è vario e permette alla gente di scegliere ciò che gli piace.

Quali sono le problematiche maggiori che ti trovi ad affrontare?

E’ un lavoro che non viene riconosciuto come tale, quindi è difficile perseguirlo, anche se riesco a mantenermi con gli spettacoli.

E’ per questo che lavori sola o è una scelta artistica?

Entrambe le cose. E’ sia un’esigenza economica che una scelta.

Pensi che il pubblico del teatro di strada oggi sia diverso da quello di ieri?

Si. La principale differenza che ho trovato è che, a differenza di qualche anno fa oggi la gente, dopo lo spettacolo, si avvicina e mi ringrazia. Questo mi fa pensare che oggi ci sia” bisogno di teatro di strada.”

Lo spettacolo inizia.

Anche Francesca, come ormai ho capito essere consuetudine degli attori del teatro di strada, comincia rivolgendosi direttamente al pubblico. Lo sollecita a sedersi, lo prende in giro, gioca con gli elementi casuali che le si presentano: una testa calva da pettinare, una persona indecisa che rimane ad osservare in ultima fila, bambini seduti che si diverte a scambiare di posizione.

Lo spettacolo, come preannuncia il titolo, è un omaggio al mondo di varietà d’inizio secolo. L’artista si alterna tra balli, giochi di prestigio e marionette, con le quali si diverte ancora ad improvvisare scherzi impertinenti girando tra gli spettatori.

Emanuela Dal Pozzo