IL TEATRO “CLANDESTINO” DI TORINO. ASSAGGI.

di Emanuela Dal Pozzo

Teatro ai margini, di nicchia, teatro non teatro o teatro clandestino, comunque lo si voglia chiamare, quel tipo di teatro inadatto in un teatro, non solo perché non si riconosce nella modalità corrente del porsi, o perché non funzionale all’apparato codificato, per quanto diversificato, che attraversa le istituzioni teatrali italiane, ma anche perché allo spazio fisico del palcoscenico classico preferisce uno spazio di vocazione non teatrale: una stanza, una cantina, un retrobottega, un luogo capace di accogliere pochi spettatori alla volta, con i quali stringere un patto di comunanza nell’atto stesso del compiersi.

Un format nato per esigenze concrete di “urgenza” artistica di chi lo fa e che ha qualcosa da dire, che fa fatica a trovare uno sbocco, proprio perché non codificato.

Abbiamo incrociato a Torino un paio di queste esperienze.

 

La prima, nel retrobottega di una gelateria, già abbastanza strutturata con un minimo di scenografia- scene disegnate da Claudo Fade Fadda-  dal titolo “ Vermi inermi”, nasce dal sodalizio già consolidato di Cinzia Laganà, attrice e scenografa dalle molteplici competenze, e in questa performance attrice, e di Simone Capula, già abituato a muoversi in piccoli spazi con i propri testi e qui in veste di regista.

Scrive nella presentazione Simone Capula:Ci auguriamo che la poesia e il teatro con la loro forza di essere qui e ora, ci servano ad uscire dal delirio di onnipotenza causato dalla tecnocrazia e ci aiutino a considerarci nuovamente parte della natura:”

La performance, di fronte a una ventina di persone, alterna scene teatrali a interventi più informali di taglio politico e affronta tanto il tema del rapporto individuo e medicina, che quello della pandemia. Siamo d’accordo con le analisi e le tesi proposte? Non è rilevante. Rilevante è il fatto che il teatro si interroghi sulla nostra realtà, che cerchi delle vie altre per manifestarsi, che cerchi un rapporto di dialogo con spettatori non propriamente passivi- ci è piaciuto il clima di complicità semiserio che Cinzia Laganà ha cercato, un modo per rasserenare gli animi in un momento di accesa conflittualità, ma soprattutto il desiderio/tentativo di non barricarsi dietro slogan che nulla spiegano.

 

La seconda esperienza ci è stata offerta dal LabPerm di Domenico Castaldo, la prova aperta di un estratto di “spettacolo” che il gruppo propone, in versione modulare e adattabile a contesti anche privati non teatrali, un lavoro spirituale, individuale e corale, fondato sulla competenza nell’uso di tutti gli strumenti attoriali, come il corpo, la voce, il respiro, il gesto.

Le motivazioni della poetica del teatro/laboratorio LabPerm sono rintracciabili nell’interessante pubblicazione “ In viaggio da XX”- Riflessioni da vent’anni di ricerca sull’Arte dell’Attore” di Domenico Castaldo con la collaborazione di Ginevra Giachetti, ed.Lexis- Torino 2017, che, attraverso i capitoli dell’Etica, della Logica, della Retorica e della Poetica , cerca di inquadrare il significato del lavoro in essere del LabPerm.

In una cripta sotterranea dell’attuale  San Pietro in Vincoli, sede del LabPerm, ci è stato

proposto l’estratto ” L’arte del Dono” di un progetto più ampio dal titolo ” L’Arte del Vivere e del Morire”.

Una dimostrazione di lavoro corale di grande raffinatezza estetica, centrata sulla reciproca empatia nel portare alla luce, attraverso la voce e il corpo, il mondo personale sensibile.  Comunicazione ed espressione sembrano fondersi nel dispiegarsi della voce, sfrondata da significati e simboli, prima che diventi parola: un lavoro di ricerca intima che si pone come dono dell’anima.

Domenico Castaldo, che vanta una lunga esperienza teatrale anche all’interno del Workcenter di Grotowsky,  perno della performance e qui anche centro di gravità e snodo di passaggio dal terreno allo spirituale, introduce la performance, in chiave più leggibilmente teatrale, con un testo che aggiunge al minuzioso lavoro profondo e intimista una invidiabile padronanza tecnica, dalla costruzione del personaggio all’interpretazione, dimostrando una preparazione attoriale completa.

Una bella esperienza cui lasciarsi andare in qualità di spettatori, senza cercarne una logica razionale.

Due approcci del tutto diversi tra loro, cui se ne potrebbero affiancare molti altri indoviniamo, percorrendo l’Italia, e che ci piacerebbe venissero alla luce, intrecciandosi in rete.

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