UNA “LUCIA DI LAMMERMOOR” DAI TRATTI ELEGANTI APRE LA STAGIONE LIRICA DEL TEATRO FILARMONICO DI VERONA. RECENSIONE

foto Massimo Pica

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Inaugurata il 26 gennaio con “Lucia di Lammermoor” (in cartellone fino al 2 di febbraio) nel nome di Gaetano Donizetti, la stagione lirica 2020 al Teatro Filarmonico di Verona.

Per l’occasione, Fondazione Arena ha proposto un’edizione proveniente dal Teatro Verdi di Salerno firmata alla regia e costumi da Renzo Giacchieri, che al capolavoro donizettiano, a partire dal 1984, si è accostato con ben cinque diversi allestimenti.

Rappresentata per la prima volta nel 1835 al San Carlo di Napoli, dove riscontrò un grande successo, è considerata l’opera simbolo del romanticismo italiano. La forte componente gotica che ne caratterizza la vicenda, drammatica e truculenta, è mutuata dal romanzo storico di Sir Walter Scott “The Bride of Lammermoor” (1819) al quale il libretto di Salvatore Cammarano si ispira, pur semplificandone personaggi e trama in chiave più lineare e concisa, di valenza soprattutto passionale. La regia ne rende fedelmente lo spirito.

Grazie alle eleganti scene di Alfredo Troisi, dal naturalismo oniricamente trasfigurato, tra alberi contorti e bui cimiteri, antichi ruderi e megapleniluni; tra alte colonne e grandi vetrate, per gli interni. Con l’apporto di ben integrate moderne tecnologie, secondo il projection design dello stesso Troisi; delle luci di Paolo Mazzon e dei sobri costumi storici; e con movimenti scenici molto misurati, tendenti alla staticità. Il tutto a focalizzare l’attenzione su voci e strumenti.

foto Massimo Pica

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Di scarso impatto, infatti, i brevi inserti mimici di Barbara Pessina, oltretutto goffamente eseguiti. Nella compagnia di canto, abbastanza omogenea e di buon livello, curata nella dizione e nella resa dei personaggi, spicca nel ruolo del titolo Ruth Iniesta. Voce lucente, agile e potente, di apprezzabile scuola, ha dato il meglio, concludendo in bellezza, nella pregevole offerta della celebre scena della pazzia, colta in sensibile varietà di sfumature.

Enea Scala è fremente e appassionato Edgardo, assecondato dal virile colore del canto e da qualità attorali di gusto talora cinematografico.

Alberto Gazale è crediibile nel ruolo di Enrico, esibendo una materia vocale di peso e un bel piglio eroico nel porgere, doti che con ulteriore studio potrebbero essere adeguatamente valorizzare a vantaggio in particolare di intonazione ed emissione.

foto Massimo Pica

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Raimondo ha la voce estesa (più che smaltata) di Simon Lim, dall’ottimo registro grave.

Corretti Enrico Zara, Riccardo Rados, Lorrie Garcia.

Bene, dopo qualche sfasamento agli inizi, il Coro preparato da Vito Lombardi.

Andriy Yurkevych, sul podio, della partitura donizettiana ha privilegiato (anche con tempi talora accelerati) lo spirito drammatico. Nell’orchestra, dal suono disomogeneo e resa discontinua, si sono fatte tuttavia apprezzare alcune sezioni (nei fiati, soprattutto i corni) e alcune parti soliste (flauto, clarinetto).

Alla “prima”, festeggiata da un pubblico numeroso e plaudente, rimarcata la presenza di Nicola Cipriani, autore de “Le tre Lucie”. Un romanzo, un melodramma, un caso giudiziario” che nella terza vicenda racconta il caso processuale di una ragazza che ai nostri giorni ha subito la stessa situazione della fanciulla di Lammermoor.

Franca Barbuggiani

Visto il 26 gennaio