VENERDI’ 8 NOVEMBRE
Venerdì 8 novembre, la kermesse novembrina organizzata da Teatro Akropolis inizia sulla Loggia, al primo piano di Palazzo Ducale, uno tra gli spazi che acquistano un respiro culturale diverso durante la manifestazione – trasformandosi in palcoscenico per alcune performance e per la giornata dedicata al Butoh. Qui, Carlo Massari, di fronte a un nutrito pubblico di giovani, che partecipano a un progetto scuola/lavoro, presenta il dittico composto da Lui e Lei.
La prima performance sembra attraversare il percorso di una vita. Spaesati, in un universo col quale non si riesce a relazionarsi, ci si muove in ambiti sempre più ristretti, ricordando o provando a rivivere momenti di condivisione. Si susseguono tentativi di contatto, abbozzi di danze forse godute in gioventù, e l’aspetto malinconico si mescola a un desiderio di armonia con coloro che ci circondano. La prorompente vitalità – forse un tentativo di recuperare i ricordi di gioventù – sprigionata nella parte centrale, mette in luce le capacità interpretative del danzatore.
Lei, seconda performance in programma, proprio perché agita in uno spazio pubblico, rischia l’interruzione quando un visitatore di Palazzo Ducale non si accorge di quanto sta accadendo e della presenza del danzatore e del fotografo, finendo per interporsi tra i due e quasi compiacendosi di assurgere per qualche secondo a protagonista. Ritornando alla performance in senso stretto, vediamo Massari indossare i panni di una donna incerta nel suo incedere (realmente e metaforicamente) che, nel momento cruciale, cede, sbaglia, cade. La vita si mostra in tutta la sua difficoltà ma, quando la decisione è presa, si può andare avanti: sulle note di Non, je ne regrette rien di Edith Piaf, Massari riafferma il valore di tenere duro e, nonostante le vicissitudini, buttarsi il passato alle spalle senza rimorsi né rimpianti.
Ottima prova che conferma la serietà della ricerca del danzatore.
A seguire ci si sposta nell’accogliente sede dell’Istituto di Studi Orientali Celso, dato che un valore aggiunto della manifestazione di Teatro Akropolis è anche il coinvolgimento di varie realtà territoriali. Qui si svolge l’incontro con Yumiko Yoshioka e Tadashi Endo, i due performer di origine giapponese che saranno i protagonisti della giornata di sabato, dedicata al Butoh.
La prima racconta come si sia avvicinata a quest’arte performativa casualmente, grazie a un volantino che pubblicizzava la ricerca di danzatori anche non professionisti, e come l’abbia trasformata, poi, in un’arte per esplorare il senso della vita, compresi i suoi aspetti più brutti, grotteschi o tragici. A seguire, Endo descrive la propria gioventù. Nato in Cina, da genitori giapponesi, ha scelto di studiare e vivere in Germania, per seguire i suoi interessi accademici e non volendo recarsi negli Stati Uniti a causa della politica imperialista di quel Paese. Ben presto, lascia l’università e per anni si dedica al teatro occidentale, interpretando drammi dei maggiori autori del Novecento. Il suo avvicinamento al Butoh arriva quando ha già raggiunto la mezza età e, anche lui, per caso. Prima con alcuni intermezzi danzati durante un festival jazz e, poi, con la partecipazione a un workshop di Kazuo Ōno (uno dei padri fondatori di questo genere particolare di danza contemporanea, sviluppato in Giappone nel Secondo Dopoguerra dallo stesso e da Tatsumi Hijikata). Anche Endo rivendica un percorso personale e la capacità intrinseca, in ognuno di noi in quanto esseri umani, di sperimentare il Butoh – inteso come movimento espressivo del corpo, che appartiene a tutti.
A chiusura di questa prima, intensa giornata, due spettacoli, entrambi in scena a Sestri Ponente: il primo nella palestra adiacente Teatro Akropolis e il secondo in teatro.
Das Spiel (Mit Antonella), di e con Alessandro Bedosti e Antonella Oggiano, è un rito sospeso nel tempo, avulso dalla gestualità quotidiana, che ci riporta al mistero della morte.
La cura per il defunto, svestirlo e ripulire il corpo e poi prepararlo per il funerale, è un cerimoniale antico che accomuna, in forme diverse, tutte le culture e le popolazioni. C’è la consapevolezza che qualcosa finisce, ma senza drammi, perché altri riprenderanno il percorso. La lentezza dei gesti in scena rimanda a quel tempo, altro, del quale bisogna riappropriarsi in questi frangenti, ma anche al rispecchiamento del rito funebre in quello laico del teatro.
La giornata si chiude con Masque Teatro e il debutto del coinvolgente Mnemische Wellen.
In scena, Eleonora Sedioli si muove in un mondo primordiale, quasi prebiotico, ricostruito con le installazioni e il disegno luci di Lorenzo Bazzocchi. Un sottofondo sonoro-musicale accompagna i gesti di una forma ai confini tra l’animalità e l’umanità, di un corpo che – quasi fosse ancora in una fase embrionale – deve trovare il proprio posto nel mondo. La performance sembra divisa in tre quadri, contraddistinti da tre diverse superfici con le quali interagisce, in modo differente, Sedioli. La prima parte, in particolare, forse un po’ troppo lunga, grazie anche al disegno luci è in grado di evocare un magma di forme che, lentamente, si trasformano in un essere sempre più definito, signore di un universo che, mentre la pedana si raddrizza, acquisisce maggiore consapevolezza di sé, padronanza del corpo, fiducia in quanto lo circonda. Alla paura sembra succedere la curiosità, la voglia di esplorare nuovi mondi. Il contenuto drammaturgico si dispiega attraverso il gesto e il movimento nello spazio. Alla fine si resta affascinati da questa possibilità di teatro senza parole che utilizza, però, con grande pregnanza e intelligenza, ogni altra forma espressiva.
SABATO 9 NOVEMBRE
Sabato 9 novembre, inizia alle 16.00 nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, dove Tadashi Endo si esibisce in Souls in the Sea. Homage to the refugees who lost their lives in the Mediterranean Sea.
Un’opera con un forte indirizzo civile, tesa a sottolineare, attraverso la gestualità contenuta propria del Butoh, le vicissitudini e l’abbandono subiti dai migranti, soprattutto negli ultimi anni. Il corpo sofferente, trascinato dai marosi, si plasma sul ritmo musicale e si rifrange tra gli scorci di luci. Endo sembra cercare appigli impossibili da raggiungere, ai quali aggrapparsi, in vista di una salvezza negata a troppi. Un corpo in grado di interpretare sia un contenuto emotivo e politico, sia i ritmi della musica, unendo ethos e pathos, impegno e sentimento.
Bella prova, applaudita calorosamente.
Alle 17.00, nell’adiacente Sala Liguria, si tiene l’incontro Danza, scrittura, libri. Il caso del Butoh (con Katja Centonze, Raimondo Guarino, Samantha Marenzi e Alessandro Pontremoli) che, fin dal titolo, appare voler affrontare un discorso troppo ampio per il poco tempo a disposizione. Si nota la difficoltà, per alcuni tra i relatori, di parlare di quest’arte in termini non accademici, forse perché forma espressiva relativamente giovane, ancora poco conosciuta in Occidente (e soprattutto in Italia), ma anche a causa dei molti indirizzi interpretativi che già la frammentano (o ne moltiplicano gli esiti, a seconda di come si vogliano leggere queste dinamiche). Alla fine, e alla luce anche degli esiti della serata, il dubbio che il Butoh stia perdendo alcune caratteristiche fondamentali (come la lentezza o ieraticità; il controllo preciso di ogni muscolo; l’aderenza fino all’immedesimazione con l’oggetto del proprio movimento, sia esso un fiore che si affloscia o un cavallo che corre in una prateria; l’utilizzo quasi crudele del proprio corpo a fini espressivi, eccetera) per slabbrarsi in forme performative occidentali, sorgerà prepotente.
Protagoniste della serata sono due donne. Alessandra Cristiani e Yumiko Yoshioka mostrano due interpretazioni molto personali del Butoh. Si inizia con Corpus Delicti, che nasce da una ricerca della Cristiani tra le figure femminili che ispirarono l’opera pittorica di Egon Schiele.
Il corpo accenna, dapprima, lente evoluzioni, minimi spostamenti che avvicinano la danzatrice agli spettatori, mentre assume le forme di quelle donne emaciate e appuntite che ben conosciamo. Dopodiché vediamo Cristiani esibirsi in una serie di movimenti (non particolarmente espressivi) con una candela e passare, quindi, a una serie di finali (le continue interruzioni della performance danno questa impressione). Finali in cui la danzatrice si riveste (e qui ci si chiede perché sostituisca la sottoveste bianca che ben si adatta ai personaggi di Schiele con un completo pantaloni e giacca anni Settanta) per muoversi in maniera quasi violenta, aggredendo lo spazio, ma comunicando abbastanza poco – come in Clorofilla, un suo precedente lavoro.
Si passa quindi dalla Sala del Minor Consiglio a quella del Maggior Consiglio (entrambe esempi splendidi dell’architettura di fine Cinquecento) per apprezzare il lavoro di Yumiko Yoshioko, 100 Light Years of Solitude.
Nella penombra, quello che sembra un uovo gigante inizia a muoversi. Luci e suoni sono parti integranti della performance e i secondi, soprattutto, suggeriscono il frangersi delle onde di un mare primordiale. Assistiamo alla nascita di un essere strano, in un luogo sconosciuto – da esplorare e con il quale diventare familiari. L’essere pian piano sembra mettersi in cerca di un qualcosa con cui comunicare, una forma che non sia la propria immagine riflessa nell’acqua. Intanto il corpo cresce, si evolve, prende sempre più coscienza di sé, gioca con le proprie parti (soprattutto la lunga coda) e con la pozza d’acqua. Ma la solitudine diventa sempre più lancinante, il bisogno di amore prende il sopravvento come la disperazione.
Yoshioko è in grado di comunicare le proprie emozioni grazie a un uso espressivo del corpo e del volto, arricchendo la semplicità della narrazione con momenti di ironia.
Una chiusura di serata piacevole per un Festival che proseguirà per tutta la settimana con una serie di appuntamenti teatrali, incontri, presentazioni di libri e un finale circense.
Luciano Uggè
Visti a Testimonianze Ricerca Azioni 2019, Genova, venerdì 8 e sabato 9 novembre.