ANNA BOLENA DI DONIZETTI AL TEATRO FILARMONICO DI VERONA

2007 Anna Bolena_atto I_foto Tabocchini e GironellaFelice ritorno al Filarmonico di Verona (29 aprile-6 maggio 2018) dell’“Anna Bolena” di Gaetano Donizetti, nell’allestimento creato nel 2007 dal regista Graham Vick (scene e costumi di Paul Brown) per Fondazione Arena (in coproduzione con Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste) e ripreso per l’occasione da Stefano Trespidi.

Regista fantasioso, spesso a limite della dissacrazione, sempre originale e anticonformista, in questa “Anna Bolena” Vick dà prova, pur senza rinunciare alla consueta fervida inventiva, di mirabile sobrietà e misura. La sua precipua ricerca di una ottimale esaltazione della drammaturgia donizettiana si traduce in rigorose e pulite geometrie, sia nella gestione delle masse sia in quella dei singoli, tutti calando, sotto le perentorie sciabolate di luce create da Giuseppe Di Iorio, nel contesto di una claustrofobica e funerea sontuosità scenica, ricca di simboli (anche cromatici) di passione, sangue e potere. Alcuni dei quali, peraltro, andati perduti (la croce, la corona di spine) nel corso delle numerose trasferte nei maggiori teatri italiani.

Spettacolare, tra tutti, il momento della caccia, con re e regina collocati sul dorso di cavalli d’oro e d’argento.

Gli arredi — dominati, nei materiali, dal plexiglass e sempre geometricamente scanditi — sposano con raffinato gusto la tecnologia avanzata con la rigorosa citazione storica tudoriana dei costumi. Questi talora liberamente contaminati con fogge tardo ottocentesche, e improntati a grottesca caricatura in taluni personaggi (Enrico) o situazioni particolari (quando la tresca tra il re e la pur combattuta Jane va a compimento). 2007 Anna Bolena_atto II_foto Tabocchini e Gironella

Di tutto rispetto la scelta della compagnia di canto, nel complesso omogenea e di pregevole livello. Irina Lungu si cala con vocalità robusta e precisa, agile e timbrata, elegante nel fraseggio, preziosa nella coloratura fino al sovracuto finale, nei panni della protagonista — trasformata da Donizetti e dal librettista Romani da personaggio ambizioso, dissoluto e calcolatore, in essere candido e malinconico — dando dignità e cuore al ruolo di regina e di donna tradita, consapevole, tra disperazione e perdono e nostalgia per la giovanile felicità perduta, delle proprie e delle altrui colpe ed errori. Molti i momenti emozionanti, con vertici nella follia e nel confronto con la rivale Jane. Quest’ultima validamente impersonata (nonostante qualche opacità e imprecisione nel canto, dovuti alle non ottimali condizioni fisiche del momento) da Annalisa Stroppa, ulteriormente apprezzabile anche per questa sua generosa presenza.

Manuela Custer è uno Smeton di lusso, che attraverso l’impeccabile linea di canto comunica con adolescenziale freschezza il suo amore sincero e consapevolmente impossibile.

Valido anche il comparto maschile. Mirco Palizzi, tecnica di prim’ordine, è Enrico, convincente soprattutto nell’ira, meno nei momenti in cui dovrebbero prevalere accenti di passione ed erotismo. Antonino Siragusa, tecnica alquanto migliorata (anche se non ancora ottimale, ma ulteriormente migliorabile) dà vita a un credibile Percy, innamorato dai baldanzosi ardori frustrati dalla rassegnazione. A posto Romano Dal Zovo (Rochefort), voce pastosa e rotonda, e Nicola Pamio (Harvey) dall’istituzionale aplomb.

Molto bene, inoltre, il coro preparato da Vito Lombardi.

Jordi Bernàcer tiene con ordinata routine il rapporto tra palcoscenico e golfo mistico. Applausi per tutti.

Franca Barbuggiani

Visto il 4 maggio