IL SETTEMBRE DELL’ACCADEMIA AL TEATRO FILARMONICO DI VERONA

dsc_0081Il Settembre dell’Accademia, la prestigiosa rassegna sinfonica organizzata ogni anno dall’Accademia Filarmonica di Verona nel teatro di sua proprietà nel mese, appunto, di settembre, ha aperto l’edizione 2016 con una delle più apprezzate orchestre del mondo, la London Symphony Orchestra.

Formazione autonoma, composta da valenti elementi che si esibiscono anche come solisti o in complessi da camera, la LSO ha un potenziale tecnico e artistico di prim’ordine. Al Teatro Filarmonico, si è presentata con un programma antologico tra Otto e Novecento di grande godibilità. Sotto la guida di Gianandrea Noseda, considerato uno dei più importanti direttori della sua generazione e dell’orchestra britannica ora Direttore Ospite Principale, la compagine londinese, già ascoltata a Verona in precedenti tournée, è apparsa galvanizzata, al top delle possibilità. Da un’ impeccabile eleganza, algida e distaccata, alla quale ci aveva abituati sotto altre bacchette, è passata al travolgente fuoco della passione, che ha conquistato l’intero teatro, esaurito in ogni ordine di posti. Sonorità importanti, senza penalizzare valori timbrici e coloristici; dinamismo incalzante, senza perdere lucidità e chiarezza; respiri lirici di pittorica plasticità. In perfetta sintonia con le direttive del m.o Noseda, dal gesto ampio con valenze talora di teatrale incisività, la wagneriana Ouverture Atto I da “I maestri cantori di Norimberga” è stata offerta in accentuata veste trionfale e magniloquente; una sottolineatura, questa, che sembra attingere a contingenze di vita e d’epoca dell’autore. Mentre la lettura della Sinfonia n.2 in Mi minore Op. 27 di Rachmaninov, superato un iniziale scollamento tra podio e orchestra, ha rievocato i valori del grande sinfonismo post-romantico, inquieto e già presago di innovazioni a venire, e “La Mer” di Debussy – momento esecutivo clou della serata – ha colto al meglio le suggestioni di un mondo marino che gioca con le onde, si lascia baciare dal sole, accarezzare e percuotere dal vento.

Il Settembre è proseguito con due celebri “incompiute” – la Sinfonia n. 7 in Si minore D 759 di Schubert e la n. 9 in Re minore di Bruckner –, protagonista l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino guidata dal mitico ottantenne maestro indiano Zubin Metha, suo direttore stabile da oltre un trentennio.

Firenze, Settembre 2014. Il Maestro Zubin Mehta dirige l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino all'Opera di Firenze. Florence, September 2014. The Maestro Zubin Mehta conducts the Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino in Florence Opera Theatre.

Gestualità parca, quasi pudica, Metha ha esplorato le due pagine ispirandosi al particolare momento della loro genesi, in prossimità della fine della vita degli Autori; di essa, forse, già presaghi. Di Schubert ha reso dramma ed eleganza leggiadra al filtro di una sorta di lenta e pacata meditazione, ottenendo dall’orchestra un suono morbido e, nel complesso, abbastanza omogeneo. In Bruckner, ha posto l’accento sulle componenti liriche della partitura, accentuando la ricerca del colore con volumi che, peraltro, nei passaggi tragici e teatrali hanno dato esiti più sforzati che possenti. Qualche sfasamento, inoltre, nell’orchestra e disomogeneità soprattutto nella sezione degli ottoni.

Prestigiosi debutti hanno caratterizzato il terzo concerto del festival, che ha visto per la prima volta al Filarmonico l’orchestra tedesca più invitata all’estero, la Bamberger Symphoniker — suono asciutto e omogeneo, qualche sbavatura nelle famiglie di legni e ance — guidata dal suo direttore onorario Christopher Eschenbach – gesto energico ed eloquente, al limite dell’enfasi, ma efficacissimo – con, al pianoforte, Saleem Ashkar. In programma, la Terza Sinfonia e tre Danze ungheresi di Brahms e, di Beethoven, il Concerto per pianoforte e orchestra n.5, l’“Imperatore”, preceduto dall’Ouverture “Egmont”. Straordinaria l’offerta beethoveniana; in particolare del celebre concerto, reso nella sua monumentalità con giusto piglio eroico, decantato da incrostazioni retoriche. Al pianoforte, Ashkar, solida meccanica, limpida e scorrevole, rigorosa nel ritmo e chiara nella dizione (Ashkar è apprezzato anche in ambito cameristico e nei recital) ha adeguato il suo suono (un po’ monocromo, anche se di qualità, con piccole discrepanze nelle variazioni dinamiche) a quello orchestrale, con calibrata espressività. Applauditissimo, ha contraccambiato con un bis da Schumann (“Traumerei”). Più particolare l’offerta della sinfonia brahmsiana, riscoperta in freschezza e sottolineata nelle valenze di modi a venire. Da rimarcare, inoltre, alcune libertà nella scelta dei tempi. Motivo in più, che renderà memorabile questo concerto, condotto senza cali di tensione dall’inizio alla fine. Applausi scroscianti, nonostante le perplessità di qualcuno.

Di eccellenza il quarto appuntamento, che gli Accademici hanno totalmente dedicato a Robert Schumann. Sono stati eseguiti la Sinfonia n.2 in Do maggiore Op.61 e il Concerto per pianoforte in La minore Op.54; oltre all’Ouverture “Manfred”, con cui si è aperta la serata. La bacchetta era di Riccardo Chailly, direttore principale della Filarmonica scaligera dallo scorso novembre. Il tormentato compositore tedesco è stato rivisitato con asciutta modernità, nella quale la lucida visone agogica complessiva non ha trascurato la giusta importanza del dettaglio stilistico, l’incalzare dei tempi non ha offuscato la limpidezza della frase, la propensione virtuosistica non ha penalizzato lo smalto del suono; con equa attenzione al duplice aspetto, rappresentato dal dirompente Florestano e dall’introspettivo Eusebio. Da rimarcare, peraltro, il forte contrasto tra la essenziale resa del primo e l’accentuato sentimentalismo – quasi un calligrafico divagare – del secondo. Forse a memoria o a citazione di prassi esecutive che furono. Orchestra impeccabile in ogni sezione e in compenetrato dialogo con lo strepitoso pianista russo Daniil Trifonov, virtuoso ed espressivo, tocco prezioso e lucida sintassi, in perfetta sintonia con la rilettura di Chailly.

Dopo quella della Scala, è stata la volta di un’altra prestigiosa formazione italiana, del pari protagonista di un memorabile incontro, l’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. A guidarla era il maestro che dal 2005 è il suo Direttore Musicale, Sir Antonio Pappano. Inoltre, quale solista nel Concerto per violino e orchestra in Re maggiore Op.35 di Ciaikowski, era stato chiamatol Gil Shaham.

Considerato uno dei maggiori interpreti dello strumento dei nostri tempi, Shaham ha confermato la fama di straordinario virtuoso (al limite dell’incredibile l’offerta, in particolare, del terzo movimento) nel generoso trasporto di un’interpretazione senza orpelli. Teatro in delirio e due bis bachiani fuori programma.

L’orchestra, dopo l’apertura con una pregevole esecuzione della Sinfonia dall’opera “Semiramide” di Rossini, ha letteralmente trionfato nella Sinfonia in Do minore Op.78 di Saint-Saëns “avec orgue”. Impeccabile in ogni sezione, colore ricco e prezioso, la compagine ceciliana, guidata con energica sobrietà da Pappano, ha esplorato con fedele approccio la celebre pagina, mirabilmente cogliendone le moderne vicinanze a Wagner e a Listz, scevra da pesanti incrostazioni tardoromantiche.

Un concerto che, pure, connoterà questo Settembre ai vertici delle ormai 25 edizioni.

Franca Barbuggiani