“….l‘animus dell’artista veneto difficilmente può conciliarsi con le avanguardie, con il linguaggio avanzato della civiltà consumistica e tecnologica: sarebbe come un contraddirsi, un respingere quell’insieme di umori, di reazioni, di sentimenti, di impulsi che fa parte della sostanza più intima dell’uomo….” scrive Paolo Rizzi nella ricca e articolata presentazione del catalogo Nando Coletti- Edizioni Canova Treviso- 1973, catalogo raro e datato che offre un affresco della Treviso artistica del primo Novecento, con testimonianze dirette dell’autore all’epoca ancora vivo, dalla quale si evince una tendenza tipicamente veneta a rifugiarsi nel microcosmo del paesaggio familiare.
Sembra quasi cioè, secondo le indagini di Rizzi, che la scuola dei grandi pittori europei dell’epoca, gli impressionisti, Cezanne, arrivassero qui come vaga eco, almeno fino alla mostra di Sisley, Monet, Pissarro, alla Biennale di Venezia negli anni ’30 e per ammissione dello stesso Coletti, durante la propria formazione giovanile, i “maestri” erano quelli dell’Accademia veneziana: i Ciardi, Nono, Milesi, Laurenti e le stesse lezioni di sintetismo bretone di Gino Rossi faticano all’inizio ad arrivare.
Paradossalmente, proprio questa “privata sensibilità”, lontana da simpatie ed imitazioni, da forzature e ammiccamenti, rendono particolare la pittura di Coletti, le cui opere si riconoscono nello stile pulito e lineare e nelle delicate atmosfere, lontane anche da certo manierismo locale, svincolate nella struttura e nelle forme, tanto da arrivare a stilizzazioni essenziali che preludono ad una concezione astratta della realtà.
Nelle tre sale al primo piano del Palazzo Robegan, accanto al Museo Ca’ da Noal, in via Canova 38 di Treviso si svolge il percorso artistico di Nando Coletti (1907-1979), uno dei pittori trevigiani più rappresentativi della prima metà del ‘900 ( alcune suo opere sono presenti anche nella mostra permanente del Museo Bailo di Treviso), con opere realizzate nell’arco di 30 anni, dal 1930 al 1960, e che descrive nei quadri anche le amicizie e le frequentazioni del tempo, con Malossi, con Rossi. Di quest’ultimo l’influenza diventa importante dopo gli anni ’50, un’influenza cementata dall’approfondimento della sua conoscenza, quando con Mazzotti e Comisso viene nominato dal Tribunale suo tutore mentre è rinchiuso nel manicomio di Sant’Artemio a Treviso.
Delle opere di Rossi prende il colore acceso e irreale, marcato da contorni netti, che unisce alla sensibilità per le atmosfere che gli è propria.
Anche di Cezanne “ruba” certi accostamenti di colore sintetizzandone il tratto, ma senza che questo intacchi una ricerca interiore che prosegue negli anni, nell’approfondimento di uno stile personale, anche quando successi imprevisti e clamorosi, come il Premio Bergamo del ’39 che, fino a quel momento sconosciuto, lo “lanciano” in compagnia di De Pisis, ma che non lo allontanano dalla propria quotidianità e dal proprio territorio.
Splendide le opere degli ultimi anni visibili in mostra, sintesi di un percorso artistico pieno e qui anche ricco di altre sollecitazioni, nelle quali forme e colori emergono con delicata prepotenza.
La mostra, promossa dall’ associazione Artisti Trevigiani in collaborazione con l’Assessore alla Cultura del Comune di Treviso e aperta dal 19 dicembre 2015, sarà aperta al pubblico fino al 28 marzo 2016 con ingresso libero.
Vista il 30.12.2015
Emanuela Dal Pozzo \