LA LUCIA DI LAMMERMOOR DI DARIO ARGENTO AL TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA.

Una pièce ‘sui generis’, impostata su di una nota e celebrata firma registica e confezionata per attirare l’attenzione e la curiosità di pubblico e ‘media’ si rivelava la nuova produzione di “Lucia di Lammermoor” affidata, dalla direzione del Teatro Carlo Felice di Genova, alla regia di Dario Argento . Ora, occorre domandarsi quanto un’operazione di questo tipo possa essere accettata, compresa e condivisa . Di certo la situazione attuale porta i teatri a cercare di attirare l’attenzione del pubblico anche servendosi del peso e della popolarità di certi personaggi, e questo non lo trovo di per sè biasimabile anche perchè, in tempi di difficoltà, ogni ‘ espediente’ ( logicamente se onesto ) è apprezzato a patto che sia affiancato ad una definizione teatrale ed artistica che giustifichi e motivi tale scelta . Giusta dunque , in questo ambito , la scelta del re indiscusso del cinema horror italiano ma dopo essersi assicurati che ciò che egli ha in animo di proporre sia una reale regia e non una presa in giro. Ciò è invece sembrata, la sua visione del capolavoro Donizettiano che , pur con qualche buona idea ( bello il riferimento ad Elisabeth Siddal, compagna di Dante Gabriele Rossetti e musa del movimento Preraffaellita che avrebbe potuto offrire più di uno spunto interessante per una lettura neogotica e visivamente coinvolgente della partitura) non offriva nulla di nuovo giovandosi di un impianto tradizionale che, pur scenicamente ben assemblato da Enrico Musenich, inchiodava la regia su trovate teatralmente improbabili ( la materializzazione dello spettro potrebbe rimandare al simbolismo di Füssli ma le pugnalate ‘in diretta’ del povero Arturo accompagnate da urla femminili muovono al riso ) che non delineavano una linea registicamente coerente ma la risolvevano con scarso senso del teatro ed una certa banalità concettuale; resta il nome del maestro dell’horror , ma è decisamente troppo poco.

Fortunatamente, sotto il profilo prettamente vocale, il panorama cambiava completamente.

Desirée Rancatore, nonostante una brutta forma influenzale che, specie nel registro acuto, si è fatta sentire , ha tratteggiato una Lucia davvero completa teatralmente e scenicamente convincente . Vocalmente perfettamente a sua agio, la brava artista conosce ed usa con intelligenza e grande capacità tecica la mezza voce, tratteggiando un profilo di donna sensibile e raffinato cercando ed ottenendo dalle agilità quella verità espressiva che, priva di tecnicismo fine a se stesso ed artificiosi orpelli, giunge direttamente al cuore .

Gianluca Terranova riconfermava un timbro bello ed uno squillo in acuto sempre coinvolgente e trascinante e, nonostante la sua impostazione naturale lo portasse spesso ad un canto aperto e sfogato che poco si addice a Donizetti, non di meno mostrava una cura molto attenta ad espressività ed accento, risolvendo il suo ruolo con corretta professionalità .

Molto teatrale l’Enrico delineato da Stefano Antonucci che, sia vocalmente che scenicamente, si confermava sensibile interprete e raffinato artista.

Ancora da approfondire il ruolo di Raimondo per il basso Giovanni Battista Parodi (chiamato in sostituzione di Orlin Anastassov) che si portava comunque con grande professionalità mentre ottimi nei loro ruoli Alessandro Fantoni quale Arturo ed Enrico Cossutta quale Normanno . A posto anche la Lisa di Marina Ogii.

Giampaolo Bisanti dava della partitura donizettiana una lettura complessivamente interessante e coinvolgente per il rispetto a tempi e dinamiche e per il buon lavoro di squadra che l’unisono buca-palcoscenico ben testimoniava.

Teatro pieno e grande successo per tutti i cantanti con qualche perplessità per le opinabili scelte del maestro del brivido .

Genova, 01/03/2015 SILVIA CAMPANA