UN BALLO IN MASCHERA AL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

Fu molto contestata, alla sua prima apparizione in pubblico al “Teatro alla Scala” nell’estate 2013 questa nuova versione registica del verdiano “Un ballo in maschera” firmata dal regista veneziano , ormai noto per la peculiare originalità che caratterizza i suoi lavori, Damiano Michieletto.

Contestazioni che , come spesso accade ormai, partivano e partono tuttora dal concetto che un’interpretazione registica del melodramma non debba dare una specifica e libera interpretazione del testo rappresentato bensì accompagnare il pubblico in una visione che mai debba disturbare l’ascolto della partitura . Questa considerazione assai comune, specie tra gli appassionati, e portata avanti spesso con guerresca foga, sembra però trascurare, o peggio, dimenticare che il melodramma nacque quale teatro in musica in cui la parola, armoniosamente associata a musica e danza, contribuiva al pari delle arti sorelle alla comunione d’intenti necessaria alla sua completezza artistica.

Da sempre importante centro della vita sociale il teatro trae infatti vita e significato attraverso il dinamico scambio con la società che ne fruisce e va in crisi quando si esaurisce nella sterile e stereotipata ripetizione di se stesso, gli stessi compositori (e parliamo dei più grandi) componevano avendo ben presente il mondo che li circondava, attenti a svilupparne concetti , criticarne vizi e sottolinearne qualità, risulterebbe dunque sterile ed inaccettabile oggi, dal punto di vista propriamente etico, pretendere un concetto di univoca rappresentazione eternamente bloccata (per fare un semplice esempio) ai dettami delle didacalie librettistiche.

Detto questo naturalmente in ogni chiave di lettura è fondamentale la coerenza, il rispetto per la partitura e per le dinamiche estetico-drammatiche che la animano ma sarebbe necessario, ogniqualvolta si entri in un teatro oggi, cercare di non accettare o rifiutare a priori questo o quello spettacolo quanto cercare di capire se innanzitutto di teatro trattasi o di qualcos’altro. É indubbio infatti che la strumentalizzazione che in questi ultimi anni si è fatta del concetto di modernità, per quanto riguarda la rappresentazione di molte partiture musicali, ha il più delle volte contribuito a formare e rafforzare un determinato aspetto registico. portandolo a cercare lo scandalo ed il sensazionalismo ad ogni costo ma è altrettanto corretto fare un giusto distinguo allorquando si assista a spettacoli intelligenti, raffinati e , in molti casi, illuminanti su molti aspetti della partitura originale.

Dopo questa necessaria premessa parliamo dunque di questo assai discusso “Ballo”.

Damiano Michieletto non sconvolge nulla in partitura ma si limita a spostare di epoca il soggetto (che peraltro per la sua stessa genesi aveva già da solo subito questa sorte a causa di problemi con la censura) concentrando la narrazione intorno alla figura di Riccardo, presentato quale importante uomo politico occidentale contemporaneo durante una sua campagna elettorale accompagnato dal suo bodyguard (Renato) naturalmente concentrato sulla sua sicurezza e dal suo capo Ufficio Stampa Oscar ( mutato in donna) che si occupa della sua figura sociale e del rapporto con i media. Tutto va poi di conseguenza Ulrica sarà una popolare medium-guaritrice stile americano ed Amelia una casalinga frustrata da un rapporto annoiato.

Ciò che rende però questa regia interessante al di là di ciò , di per sé per nulla innovativo, è come il lavoro registico s’imposti sulla attenta caratterizzazione dei vari personaggi e sull’attualità delle loro relazioni così ben tratteggiate in partitura. Dal punto di vista prettamente drammaturgico nulla è tolto infatti al dramma ideato da Verdi e Somma ma anzi determinati quadri (ad esempio la scena di Ulrica così come la fine dell’Atto II) assumono una significante più contemporanea e parallela al dettato verdiano; così l’adorazione da cui Riccardo è circondato diventa prodotto di abile campagna elettrale (“incorrotta gloria” recita lo slogan tratto dalle parole del libretto) , la derisione cui Renato e sua moglie sono oggetto, sorpresi in una zona dominata dalla prostituzione (e Amelia stessa, scippata della pelliccia , questo si un po’ fuori dalle righe, si coprirà con l’impermeabile di una prostituta apparendo come tale ) diventa una motivazione, anche d’immagine, forte e dominante per il suo crimine, le minacce subite da Oscar durante l’ aria “Saper vorreste” ne svelano il carattere fedele e “Ella é pura” letta come una lettera da Amelia a fine opera determina una maggiore e straniante centralità del protagonista.

Mille dunque le piccole modifiche apportate da Michieletto ma ciò che importa alla fine sottolineare è che la sua lettura può certo incontrare o meno il gusto dello spettatore ma non stravolge la partitura verdiana cercando piuttosto di analizzarla sotto un profilo teatrale decisamente marcato e drammaturgicamente efficace (in questo senso i profili di Renato ed Amelia sono tratteggiati con sapiente introspezione e, anche grazie ai sensibili interpreti, assumono nuova forza drammatica al di là del convezionale clichè) che la rende , completa , contemporanea e fedele.

Gregory Kunde tratteggia indubbiamento un Riccardo molto interessante

La sua vocalità , forse un po’ stretta in questo ruolo che conosce ampie cavate liriche e sognanti accenti, si dipana con grande intelligenza tra le anse dello spartito, dipingendo un carattere meno amante e più maturo, politico ed adulto e risulta sempre prodigiosa da ascoltare, sia per la qualità del timbro quanto per l’intelligenza espressiva che mostra, a chiare lettere, quanto una tecnica intelligente e curata possa permettere ad un saggio artista di avvicinare ruoli molto differenti tra loro presentandoli con ugual successo e partecipazione.

Assai bene anche l’Amelia di Maria Josè Siri la cui vocalità si sta arricchendo sempre più di armonici ed espressività, caratteristiche che la rendono molto emozionale e coinvolgente .Pur trovandosi forse maggiormente a suo agio nel repertorio verista l’intelligente artista si accosta con attento studio alla partitura verdiana riuscendo assai bene ad isolarne gli slanci lirici ed empatici senza compromettere la tecnica, sempre controllata ed a posto in ogni registro . Scenicamente poi il personaggio acquista imponente forza drammatica e, in questo particolare allestimento, evidenzia un carattere ed un percorso psicologico apparofondito e misurato .

Luca Salsi è indubbiamento uno dei timbri baritonali più rilevanti oggi sui nostri palcoscenici; il timbro in particolare si mette immediatamente in evidenza per la rotondità e per la giusta espressività . Il suo Renato risulta dunque corrusco e rancoroso , torbido ed inquieto come la partitura verdiana richiede ed il suo comportamento in scena contribuisce a ben caratterizzare un personaggio tra i più riusciti in questo allestimento , cosa non del tutto facile. Ciò nonostante la sua tendenza a sfogare un po’ troppo il suono rischia di portarlo su di un percorso scivoloso che il suo talento non merita . Salsi sa cantare bene e sul fiato quando vuole (“… o dolcezze perdute”) e anche su questo dovrebbe puntare per rispettare ed accrescere la marcata teatralità che gli è propria e che gli permetterebbe di approfondire ulteriormente la propria sapienza esecutiva ed interpretativa.

Interessante per la cura al fraseggio ed una spiccata e giusta disinvoltura scenica l‘Oscar delineato da Beatriz Diaz mentre interessante per la vocalità imponente e ricca di armonici l’Ulrica di Elena Manistina.

Completavano il cast: Paolo Orecchia (Silvano), Fabrizio Beggi (Samuel), Simon Lim (Tom), Bruno Lazzaretti (un giudice) e Luca Visani (servo di Amelia).

Alla guida dell’Orchestra del Teatro Comunale, il M° Michele Mariotti convinceva solo in parte in quanto, fatta salva una ricerca curata nel colore e nel fraseggio ed un giusto bilanciamento delle sezioni, la sua lettura non colpiva per la particolare e personale coerenza narrativa cui ci ha abituato. Sostanzialmente bene il Coro del Comunale guidato dal M° Andrea Faidutti.

Il pubblico eterogeneo e vario che gremiva il Teatro Comunale mostrava di gradire lo spettacolo nel suo complesso premiando, con autentiche ovazioni in qualche caso, tutti gli interpreti ed il Direttore.

Bologna,16/01/2015

SILVIA CAMPANA