LA TURANDOT AL FILARMONICO DI VERONA. RECENSIONE

image1La nuova Stagione del Teatro Filarmonico di Verona ha preso coraggiosamente il via lo scorso dicembre in un’atmosfera in cui la criticità in cui versa l’Ente, sembrava ignorata o comunque poco percepita dalla ‘pancia’ stessa del pubblico e della città ,che la lettura di un comunicato da parte dei lavoratori del teatro prima dello spettacolo cercava invano di sensibilizzare .

La sala appariva comunque gremita e speriamo foriera di un interesse che tradisca un più concreto e stretto legame tra questa importante realtà culturale ed il tessuto storico – culturale che abbraccia naturalmente questa nostra meravigliosa capitale dell’arte italiana.

Lo spettacolo proposto, nell’allestimento della Slovene National Opera und Ballet di Maribor, si mostrava molto teatrale e funzionale nella sua semplicità .

L’idea del regista Filippo Tonon di giocare con un elemento spaziale singolo, in questo caso una serie di grandi cornici quadrate, e renderlo, facendolo muovere nello spazio scenico, protagonista e cardine di ogni movimento ed invenzione scenica, risultava assai efficace nella sua teatrale linearità. Così la rigorosa geometria delle forme si accostava alla linea classica e luccicante dei costumi – studiati per colpire l’occhio (forse anche un po’ troppo) e la fantasia dello spettatore- ed ai movimenti scenici giustamente calibrati e finalizzati ad una narrazione coerente e fluida che non poteva non avvincere.image2

Non così convincente il cast impegnato in palcoscenico anche se ottimo nelle potenzialità.

Il soprano Teresa Romano, impegnata nel ruolo del titolo, sfoggiava infatti una pastosa vocalità ed una davvero rilevante attenzione ai segni espressivi della partitura offrendo del personaggio della principessa un quadro convincente e molto teatrale, peccato che la tessitura scritta da Puccini preveda, com’è noto, un impegno, per il ruolo di Turandot, quasi costantemente incentrato sulla salita al registro estremo che deve essere tanto brillante quanto preciso nell’intonazione e, in molti casi, la vocalità della valida artista non si mostrava ancora così tecnicamente inossidabile.

Per quanto riguarda il ruolo del principe ignoto, il tenore Martin Muhel sfoggiava indubbiamente un timbro ragguardevole per volume, squillo e lucentezza. Sicuro in tutta la tessitura l’artista si disimpegnava assai bene anche sotto il profilo teatrale ma restava ancora un po’ troppo grezzo nell’accento e nell’interpretazione dello spartito così come poco convinceva la sua emissione che, tendenzialmente indietro, gli impediva spesso di mantenere sull’intonazione un costante controllo. Dalla vocalità non sfolgorante ma curata nell’espressione, l’altalenante Liù di Rocio Ignacio che, specie nella scena della morte, trovava accenti di drammatica espressività. Deludente il Timur di Carlo Cigni, specie sotto il profilo strettamente vocale mentre le tre maschere Ping (Federico Longhi) , Pong (Massimiliano Chiarolla) e Pang (Luca Casalin) non si discostavano da una corretta professionalità . 

Completavano il cast : Murat Can Güvem ( Altoum) , Niccoló Ceriani ( un Mandarino) e Angel Harkatz Kaufman (Principe di Persia) .

La direzione del, pur talentuoso, M. Jader Bignamini alla guida di una sonnolenta Orchestra della Fondazione, non riusciva a creare una lettura omogenea della partitura, cosa che risultava ancor più evidente dai numerosi e gravi scollamenti musicali e teatrali con il palcoscenico che coinvolgevano naturalmente anche il Coro della Fondazione diretto dal M. Vito Lombardi.

Applausi per tutti da parte del pubblico per questo volenteroso allestimento che speriamo possa essere prodromo per la città di un’attività culturale sempre più brillante e condivisa con il territorio .

Verona, 22/12/2016

SILVIA CAMPANA