“HUMAN” APRE LA RASSEGNA “L’ALTRO TEATRO” AL CAMPLOY DI VERONA

RAVENNA FESTIVAL 2016. HUMAN Marco Baliani, Lella Costa Foto Fabrizio Zani / Daniele Casadio

Lo spettacolo è piacevole e accattivante, confezionato com’è da “navigati” teatranti quali Lella Costa e Marco Baliani. Ci riferiamo a “Human” (con una riga nera sopra le lettere, che idealmente le cancella), il lavoro con cui si è aperto al Camploy “L’altro teatro”, rassegna organizzata dal Comune di Verona in collaborazione con Arteven, con Ersilia Cooperativa e con EXP-Are We Human, comprendente una sezione di prosa (che annovera, appunto, anche “Human”) e una di danza — in e fuori abbonamento — con attenzione particolare alle produzioni più innovative e alternative dei rispettivi generi.

Il testo, firmato a quattro mani da Marco Baliani (cui si deve anche la regia) e Lella Costa, con la collaborazione di Ilenia Carrone, si ispira al tema della diversità; nello specifico, prendendo spunto dall’evento epocale più tragico dei nostri tempi, la “migrazione”. O “invasione”. A seconda degli occhi, mente e cuore, con i quali questo immane fenomeno di spostamenti di massa da un continente, o zona del mondo, all’altro viene percepito.

E già questa nostra equidistanza del dire introduce al clima di ovvietà e luoghi comuni che cifra tutto lo spettacolo, variopinto patchwork dove la narrazione, in aulico linguaggio epico, del tragico mito amoroso di Leandro e Ero separati sulle due nemiche sponde dell’Ellesponto, fa da emblematico, ciclico filo conduttore. Una banalità che informa i dialoghi, i monologhi, i piccoli flash di cabaret, e i “coretti” di collegamento tra i vari quadri e scenette – rielaborazione in chiave moderna e minimalista di una, tutto sommato, snobistica e pleonastica classicità, che appieno non si amalgama con lo spicciolo cronachismo dell’insieme.

I pezzi di bravura, come peraltro si diceva all’inizio, non mancano. Basti citare i magistrali cammei offerti da Lella Costa nella parodia della veneta signora Tecla, interpretata con delizioso humour e ironica maestria. O le belle, struggenti musiche originali di Paolo Fresu, con citazioni cantate di matrice etnica eseguite dai vari giovani e impegnati comprimari (David Marzi, Noemi Medas, Elsa Pistis, Luigi Pusceddu).

Efficacemente evocativa, inoltre, la scena fatta di stracci galleggianti, e i costumi, dilavati e consunti dal mare e dal tempo, ideati da Antonio Marras.

Il pubblico, che ha segnato il pressoché tutto esaurito, si diverte e applaude alla bravura di tutti. Qualche ovvia riserva sui contenuti, colta al volo, da parte di taluni spettatori tra i più “impegnati”.

Franca Barbuggiani