BLASPHEMIA- IL TEATRO E IL SACRO ALL’OLIMPICO DI VICENZA. CONSIDERAZIONI

Nasce con qualche polemica l’interessante Convegno Internazionale “Blasphemia- il Teatro e il Sacro” organizzato dall’Accademia Olimpica in collaborazione con il Comune di Vicenza e sotto la minaccia di denunce, sembra di capire da un gruppo di cattolici tradizionalisti qualora all’interno dello stesso si oltraggiasse la religione, lo stesso gruppo che aveva polemizzato contro lo spettacolo “Prima lettera di San Paolo ai Corinzi” di Angelica Liddell in scena all’Olimpico qualche mese fa, perchè ritenuto blasfemo.

Già dagli interventi introduttivi di Cesare Galla, Vicepresidente dell’Accademia Olimpica di Vicenza, Jacopo Bulgarini d’Elci, Vicesindaco e Assessore alla Crescita del Comune di Vicenza e Roberto Cuppone, Direttore di Laboratorio Olimpico, tesi a pacificare gli animi e a rassicurare l’uditorio, gremito anche dagli studenti del Liceo Pigafetta di Vicenza, si colgono chiare dichiarazioni d’intenti: -“blasphemia” non significa “profanazione”, piuttosto ricerca di un nuovo rapporto con il sacro, – non si possono condannare le opere teatrali che cercano di ridefinire il presente, lanciando input interpretativi per la conoscenza della nostra contemporaneità.

E’ notevole e non scontata questa comunione d’intenti politico- artistica che trova affiancati tanto il Comune nella persona del Vice Sindaco Bulgarini, quanto Galla e Cuppone del Teatro Olimpico, senza i quali certamente un Convegno così ricco di apporti e di sfaccettature non sarebbe stato possibile, grazie agli interventi interessantissimi del mattino con docenti universitari e studiosi appassionati che hanno fatto un excursus storico dall’antichità al medioevo, con citazioni filosofiche, mutamenti di rotta e imprevedibili raffigurazioni oscene e blasfeme anche all’interno di conventi medievali.

Altri docenti universitari si sono avvicendati poi nel pomeriggio secondo una cronologia storica che ha portato fino ai giorni nostri e che è passata attraverso l’analisi delle opere più significative delle diverse epoche.

E’ curioso come una certa “intelligentia cattolica” si preoccupi così tanto dei limiti che dovrebbe avere una ricerca, peraltro condotta con rigore da professionisti e non dei messaggi vergognosamente antietici che si nascondono nei titoli degli spettacoli di tante compagnie amatoriali che spesso diventano purtroppo il terreno culturale all’interno del quale crescono intere collettività.

Non si tratta di applicare censure ad altri spettacoli, a quelli piuttosto che a questi, quanto piuttosto di interrogarci sulla funzione del teatro, se il teatro debba o meno interrogarsi e interrogarci circa il mondo che viviamo e il mondo che vorremmo, se possa o no essere uno strumento di crescita, di confronto e di dialogo democratico.

Verrebbe da chiedersi quale sia la consapevolezza di ruolo di un Assessore alla Cultura, garante cioè anche di una crescita culturale della comunità , che promuova e finanzi la diffusione di titoli come: “ Me prestito to mojer?” o “L’usel del maresciall”.

Emanuela Dal Pozzo