XI FESTIVAL DEI TEATRI D’ARTE MEDITERRANEI: UNA BELLA LEZIONE DI ETICA, ARTE E POESIA. REPORT

Quest’anno l’XI Edizione del Festival dei Teatri d’arte Mediterranei che si svolge dal 28 al 30 agosto 2015 ha modo di festeggiare il finanziamento Ministeriale MIBAC, ottenuto dal Teatro Bertold Brecht fautore del Festival per la prima volta dopo quarant’anni di attività festeggiati nel 2014. Noi, dopo avere “ assaggiato” questo territorio ed essere approdati in quest’isola felice di Formia, non possiamo che festeggiare con loro e congratularci che finalmente qualcuno si sia accorto della loro presenza, nonostante il Teatro Bertold Brecht sia riconosciuto ufficialmente come una delle undici officine culturali della regione Lazio.

Siamo arrivati in data 29 a festival iniziato e subito siamo stati invitati ad un reading dedicato ad Antonio Gramsci dal titolo “ Del mondo e della vita, Gramsci e la cultura.” con gli attori e l’accompagnamento musicale del Teatro Bertold Brecht e fatto, mi dicono poi, nello stesso luogo (allora carcere di Formia) in cui lui ha soggiornato come carcerato.

Così, ascoltando gli stralci delle lettere in cui Gramsci prima che uomo politico si rivela pedagogo, critico teatrale e profondo conoscitore del folklore popolare sardo, mi balza agli occhi l’estrema attualità dei messaggi contenuti, una sorta di eredità spirituale da lasciare ai posteri e dai quali emerge l’amore per la cultura, per la società, per l’arte e per la conoscenza. Dovrebbero essere testi obbligatori nella scuola oggi, in un momento di così grande incertezza politica e sociale, di sradicamento dalla propria storia e dalle proprie origini.

Ma non è che il preludio.

Segue un’interessantissima conferenza internazionale con due dirigenti culturali di due regioni della Tunisia: Dhaker Akremi, Commissaire regional à la culture de Ben Arous e Mourad Amara, Commissaire Regionale à la culture du gouvernorat de Bizerte e due docenti universitari della facoltà di filologia di Siviglia: Mercedes Arriaga e Daniele Cerrato. Sono presenti il Sindaco di Formia e in qualità di moderatore Antonello Antonante, direttore artistico del Teatro dell’Acquario di Cosenza.

Il titolo è emblematico: “Arte, cultura, teatro: Mediterraneo, un mare condiviso.”, perchè non ci si scambiano solo informazioni sullo stato della cultura, dell’arte e del teatro oggi, con le relative esperienze di apertura reciproca e le specificità territoriali, ma si parla anche di frontiere, di civiltà, di storia comune, di beni naturali comuni come il mare mediterraneo, da sempre mezzo di scambio commerciale e culturale e oggi carico di morte.

Lo spazio successivo” Una lacrima per Mario” un breve intervento in parole e musica è dedicato alla morte di un blogger, spirito libero, troppo libero, tanto da venire ucciso nella sua casa da mano fascista, segno questo che non è facile qui esprimere le proprie posizioni e che la libertà di pensiero si paga a caro prezzo.

Si prosegue con lo spettacolo “Pinocchio a tre piazze” teatro di strada, immagini e figura del Teatro Bertold Brecht, un tutto esaurito nella piazza di Torre di Mola che straripa di gente. Uno spettacolo quattro stelle per noi, ricco e completo, originale nella conduzione, bene amministrato nella regia, sorprendente negli elementi scenografici e nei costumi, bene interpretato e danzato, accattivante ed empatico nella forma, ma soprattutto capace di recuperare quel filone di teatro di strada e di figura più autentico, che mutuava lo studio dei caratteri dei propri personaggi dalla Commedia dell’arte, filone che sembrava irrimediabilmente sparito, stritolato dalle maglie del tempo: un tuffo nella tradizione teatrale di quel teatro di ricerca che oggi sembrava essersi perso in favore di tecnologie ma spesso tecnologismi incapaci di essere altrettanto comunicativamente pregnanti.

La serata termina con il concerto Ventrupea- Paesaggi sonori del Mediterraneo, uno straordinario mix di suoni e vocalità che innestano una ricerca di buon gusto in un substrato popolare di cui si riconosce l’autenticità di matrice: un concerto specchio in cui ritrovare le più radicate sonorità del territorio.

A fine giornata rincorro due pensieri: il primo riguarda le modalità di questo festival, così attento ed aderente al lato migliore di questo territorio in cui l’ospitalità diventa reale accoglienza e scambio con lo straniero, il secondo la qualità artistica delle proposte, aderenti e coerenti tra loro, umane e comunicative, senza forzature o intellettualismi a priori, eppure capaci di incidere in modo sinergico e di concorrere alla complessiva trasformazione e maturazione di un territorio.

Un festival che almeno nella prima giornata mi è apparso di forte impronta etica nei contenuti e comportamenti, artistica nello spessore espressivo dei contenuti offerti , ma soprattutto poetica per quella coerenza artistica ed umana che trasforma un contesto di occasionali spettatori in comunità, in gruppo d’appartenenza e di condivisione di valori anche estetici.

E penso che forse la bellezza e la profondità di uno spettacolo è direttamente proporzionale alla sua “necessità” territoriale e che nell’esportazione di quello spettacolo si perde sempre qualcosa e che probabilmente ogni territorio dovrebbe avere garantito uno spazio per i propri spettacoli, non uno spazio fisico per accogliere compagnie o spettacoli, ma uno spazio psicologico, artistico ed intellettuale necessario a quella qualità di territorio.

FESTIVAL TEATRI D’ARTE MEDITERRANERI 2015: INTERVISTA AL DIRETTORE ARTISTICO MAURIZIO STAMMATI CON IL CONTRIBUTO DI ANTONELLO ANTONANTE, DIRETTORE ARTISTICO DEL TEATRO DELL’ACQUARIO DI COSENZA.

Incontro Maurizio Stammati durante il Festival Teatri d’Arte Mediterranei Edizione 2015 di Formia. Si aggiunge casualmente anche il Direttore Artistico del Teatro dell’Acquario di Cosenza Antonello Antonante e ne nasce una piacevole chiacchierata, centrata sulle origini e l’evoluzione del Teatro Bertold Brecht, con concetti senza dubbio oggi controcorrente.

Antonello Antonante, testimone di uno dei periodi più fervidi del teatro di ricerca degli anni ’80 e attento osservatore dei mutamenti dell’oggi, impreziosisce la conversazione con argute osservazioni e mi regala un libro testimonianza del Teatro dell’Acquario dal titolo “ Trent’anni di differenza: 1981-2011” edito da Abramo, con contributi scritti autorevoli di attori e personaggi che hanno segnato la storia del teatro e che l’hanno frequentato durante quegli anni. Solo citando alcune di queste firme: Alessandro Bergonzoni, Toni Servillo, Giorgio Barberio Corsetti e per venire ai giorni nostri Carrozzeria Orfeo, la Compagnia Berardi/Casolari.

A me piace citare questo sentito stralcio presente nella pubblicazione a firma di Mauro F. Minervino capace di fotografare la realtà di quegli anni, non solo del Teatro dell’Acquario.

Ci sono luoghi che contano molto. Quanto le persone che vorresti sempre con te, e certe volte di più. Te ne accorgi col tempo, a distanza. A cose fatte. Abbiamo tutti la nostra prima memoria teatrale. La mia risale ai primissimi anni ottanta e mi riporta a Cosenza, al Teatro dell’Acquario…..

Di quel posto mi piaceva l’atmosfera confidente e alternativa, l’aria chiusa che sapeva di polvere, i rumori delle macchine di scena, il buio in cui ci si poteva calare a tutte le ore. La gente che ci trafficava, che stava intorno e dentro quel garage fuori mano, aveva qualcosa di speciale; era attraente, libera, anticonformista. Recitavano, avevano storie strane, vivevano su un palcoscenico viaggiavano. L’Acquario aveva qualcosa che mi ricordava odore di circo e di santuario. Bastava quello per dargli l’alone improrogabile di un’urgenza: all’Acquario si doveva andare……”

INTERVISTA A MAURIZIO STAMMATI, direttore artistico del Festival e del Teatro Bertold Brecht.

Qual è la nascita, l’evoluzione e la specificità del Teatro Bertold Brecht?

La compagnia Bertold Brecht nasce nel 1974 sull’onda di un’esigenza giovanile di quegli anni che prende per modello un certo tipo di teatro: Il Teatro Terzo di Eugenio Barba, guardando all’Odin Theatre e al Potlach e prediligendo il teatro di strada e il teatro fisico.

In verità i fondatori iniziali, oggi non più presenti nella Compagnia non hanno mai fatto il salto verso un teatro professionale, scelta a mio avviso necessaria.

Il passaggio al professionale è avvenuto nel 1984 con l’ingresso degli attuali attori del Teatro Bertold Brecht. Il nostro è un teatro di artigiani. Ci occupiamo di tutto: dalle scene alle luci, senza specializzazioni interne. E’ un lavoro concreto, manuale, che ci impone di conoscere ed amare i materiali con cui lavoriamo, gli strumenti del nostro mestiere.

Considerare il teatro come lavoro non significa solo nobilitarlo o dedicarvisi a tempo pieno, avere il dovuto riconoscimento pubblico o essere riconosciuti per un livello di qualità diversa. Significa rischiare il tutto per tutto, lavorare secondo un concetto di “necessità”, pagare economicamente in prima persona gli errori che si fanno.

Il nostro teatro si avvale di molti linguaggi contemporaneamente: il linguaggio della Commedia dell’arte, il teatro fisico, la musica, danza e teatro insieme, il folklore. Siamo tutti musicisti oltre che attori. Abbiamo avuto la fortuna di avere come maestro Ambrogio Sparagna etnomusicologo e musicista che prima di tutto ci ha educati alla ricerca delle fonti popolari.

Cerchiamo di non tradire le tradizioni.

Si dibatte da più parti in questo periodo la questione del passaggio di testimone alle giovani generazioni. Anche voi sentite questa criticità nel vostro lavoro?

Da 23 anni la scuola produce una continuità creando una generazione di allievi. Una volta cresciuti gli allievi prendono la propria strada, studiano all’Università , viaggiano, acquisiscono competenze e poi molti tornano per rimettere al servizio del teatro le proprie conoscenze. Questa è l’invisibilità della nostra forza: riaccoglierli con le competenze acquisite “in casa d’altri “dopo la consapevolezza che nasce dalla lettura diversa delle proprie radici. Il futuro del teatro continuerà grazie a loro. La difficoltà che abbiamo semmai è un’insufficiente forza economica per poterli reintegrare. Non possiamo farli entrare gratuitamente. Sarebbe una contraddizione per noi che consideriamo il teatro un lavoro. Così il limite è quello di avere creato una opportunità che non possiamo appieno utilizzare. Capita anche, come in questo Festival, che assumiamo extracomunitari che si aggirano intorno allo spazio dove proviamo e che vediamo interessati al nostro lavoro ,per attività di supporto.

Siete una delle poche compagnie oggi che continuano il lavoro iniziato dal Terzo Teatro…

Non so se stiamo lavorando secondo la stessa filosofia con cui Barba ha iniziato. So per certo che l’eredità lasciatami sono alcuni insegnamenti. Il primo l’umiltà nel lavoro, il secondo il considerare le difficoltà un punto di forza. Le difficoltà sono il nostro tesoro perchè ci obbligano a reinventarci giorno per giorno. Ci mettono di fronte alla nostra precarietà, ci incitano a superare gli ostacoli, ci offrono la possibilità di tenere i piedi per terra, di sentire “le necessità” del nostro lavoro. Se avessimo la strada spianata probabilmente la qualità del nostro lavoro scenderebbe. Per fare un esempio semplice: stiamo utilizzando uno spazio permanente parzialmente condiviso con la scuola di Formia. Questa consapevolezza ci costringe ogni giorno a rapportarci in un certo modo, a renderci conto dei nostri limiti.

Come vedi il futuro del teatro?

Il futuro del Bertold Brecht lo vedo bene perchè si dimostra pieno di linfa. La scelta più difficile e vera è che lavoriamo in gruppo. Il gruppo è la garanzia di qualcosa che continuerà . Cerchiamo di veicolare questo concetto come imprescindibile anche alle nuove generazioni. Il futuro sarà sempre, come ora , irto di difficoltà economiche e di relazioni con il politico di turno, ma sarà sempre vivo con lo stesso stupore del nostro primo sguardo rivolto al palcoscenico.

Sul piano dei progetti concreti e immediati abbiamo allacciato una bella collaborazione con l’Università di Siviglia e la Tunisia con cui siamo in contatto da alcuni anni. Ci sono accordi precisi con entrambe queste realtà sia in relazione ad una reciprocità di presenza nei Festival sia a produzioni condivise come la “Medea” inserita in questo Festival, scritta da Andrés Pocina in lingua spagnola, tradotta in italiano da Mercedes Arriaga e Daniele Cerrato dell’università di Siviglia, edita dalla casa Editrice romana “Il sextante”e da noi interpretata.

Se invece parliamo del futuro del teatro in senso più ampio la sensazione che ho è che stanno negando alle nuove generazioni la possibilità di incontrare veramente il teatro fatto di quinte, materiali scenici, materia, manualità. Oggi i ragazzi che non si possono più specchiare in modelli teatrali veri. Hanno senza dubbio opportunità che noi non abbiamo avuto in merito alle conoscenze teoriche dei linguaggi del teatro e del loro funzionamento, ma queste conoscenze rimangono sterili se non si integrano con l’esperienza fisica della macchina del palcoscenico, se non si usano le mani per costruire, se non si crea un rapporto diretto anche d’amore con le quinte, con tutte le cose necessarie del fare teatro. Io concepisco il teatro in funzione sociale. L’essenza del teatro è la comunicazione fisica con l’altro.

Emanuela Dal Pozzo

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