IL GABBIANO AL TEATRO VASCELLO DI ROMA E I PRECARI RAPPORTI TRA CRITICA E CULTURA.

Non si può dire essere stato un impatto piacevole quello del nostro giornale con il Teatro Vascello di Roma quando al botteghino abbiamo dovuto versare 2 euro all’ingresso, un biglietto accreditato in quanto riconosciuta testata giornalistica.

Chiedendo con stupore informazioni all’Ufficio Stampa sulle ragioni di questa decisione e da chi presa ( è la prima volta che ci accadeva di dovere pagare, seppure simbolicamente, per recensire uno spettacolo) ci viene risposto essere una decisione presa dalla Direzione, nel riconoscimento della crisi economica in cui versano i teatri, dal momento che non risulta scritto da nessuna parte che critici e giornalisti debbano entrare gratis e che rimane scelta del critico o giornalista di turno entrare a queste condizioni o rinunciare alla visione dello spettacolo.

A prescindere dalla davvero esigua somma richiesta, che non crediamo certo possa seppure parzialmente sollevare il teatro dai costi economici, abbiamo interpretato questa accoglienza come scarsa tolleranza o “necessità” di recensioni critiche degli spettacoli proposti,oltre che scarsa considerazione del nostro servizio, offerto certamente più per amore al teatro che per ragioni di tornaconto economico, pertanto da qui a venire, stante queste condizioni ed atteggiamento, dedicheremo la nostra attenzione a teatri più aperti e più disponibili al confronto.

Siamo comunque entrati il 24 gennaio 2015 a visionare lo spettacolo “ Il Gabbiano” di A. Cechov, produzione di “La Fabbrica dell’attore”- Teatro Vascello”, con la regia di Fabiana Iacozzilli, in scena al Teatro Vascello dal 9 al 25 gennaio 2015, interpretato da Simone Barraco, Elisa Bongiovanni, Francesca Farcomeni, Ramona Nardò, Benjamin Stender.

Nel primo atto lo scenario è aperto con tutti gli attori in scena immobili in attesa. Quando i personaggi prendono vita appaiono esasperati nei loro tratti caratteriali, “recitano” con freddezza, senza sfumature, caricaturali e poco credibili, ripresi in un momento impreciso ( potrebbe essere l’immediatamente prima o l’immediatamente dopo), in una generale atmosfera di disfatta: una sorta di prologo di ciò che sarà. Sembrano la rappresentazione di se stessi. L’atmosfera è decadente ma priva di ogni evocazione, al contrario imbruttita da citazioni contemporanee di testo( non manca nemmeno l’accenno cantato a “finchè la barca va lasciala andare…) di abbigliamento e di parlate: dall’inflessione nordeuropea di Benjamin Stendler nella parte di Konstantin, all’accento spiccatamente romano di Simone Barraco nel ruolo del dottore, che sembrano allontanare nello spazio e nel tempo. Quando si chiude il sipario al primo atto serpeggiano tra gli spettatori le parole “cerebrale” e “interpretazione personale” e si legge in sala qualche perplessità per questa voluta rottura di canoni che rimane però anche ghiacciata in scena.

Il secondo atto è una sorpresa, diametralmente opposto al precedente. Gli attori non si risparmiano e si lasciano attraversare dalle emozioni. La bellezza di questo secondo atto sta tutta nella capacità di sondare le relazioni viste sotto una lente di ingrandimento, con bei duetti e bei giochi d’insieme. L’abilità attoriale si vede anche nella precisione tecnica capace di dilatare i sentimenti ma soprattutto nella dilatazione del tempo, un tempo teatrale che avvolge e affascina: citando la locandina: “ …ma questo istante, che nella vita è impercettibile, in teatro può durare un’eternità …..”

Quando il percorso di Konstantin si chiude, una chiusura secca anche se lungamente premeditata, siamo dentro lo spettacolo e ci convince.

Rimangono alcune perplessità legate al grande respiro di questo testo russo che in questa messa in scena restituisce solo in parte il fascino poetico delle atmosfere Cechoviane, più attenta a cogliere il sentimento d’amore tra i protagonisti che quel senso di precarietà , di solitudine, di “malattia” sociale che caratterizzano Cechov e la sua epoca. Ma le estrapolazioni sono scelte di regia, così come la scelta dei colori che può mettere in disaccordo puristi e innovatori sulla opportunità di aderenza ad un testo o meno, qui peraltro nei suoi tratti essenziali significativi rispettato, almeno nella seconda parte.

Di grande pregnanza evocativa le musiche.

Emanuela Dal Pozzo