IL GUARITORE AL TEATRO RINGHIERA DI MILANO. RECENSIONE.

Originale drammaturgia quella di Michele Santeramo che firma il testo dello spettacolo teatrale “Il guaritore”, produzione del Teatro Minimo e di Fondazione Pontedera Teatro, in scena a Milano ad Atir Teatro Ringhiera dal 18 al 21 dicembre 2014, un copione che scaturisce da un personaggio realmente conosciuto dall’autore, com’egli stesso dice ( vedi precedente comunicato stampa) e dal quale estrapola liberamente un modo nuovo di guardare alle vicissitudini della vita: testo vincitore della 51^ Edizione del Premio Riccione per il Teatro.

Il guaritore, magistralmente interpretato da Michele Sinisi, sospeso tra il dramma personale di una vita che si indovina non facile, stretta tra la convivenza conflittuale con il fratello e la malattia che a poco a poco lo priva della propria autonomia, dedica gli ultimi sprazzi lucidi della propria mente a guarire i malesseri d’animo delle persone.

Nella consapevolezza che ogni problema nasca dalle singole storie individuali, le mette in relazione tra loro per arrivare alla loro guarigione.

Non si delinea la storia di un mago o medico millantatore, quanto piuttosto di un filosofo che intuitivamente comprende il senso sociale del vivere e cerca con i mezzi a propria disposizione, cioè l’ascendente che sente di avere, di arginare il male di vivere : un male che pur differenziandosi in ogni storia con ragioni diverse sembra sotteso all’esistenza stessa:“…….La relazione, l’idea di mettere al centro una generosità a cui trovo sempre meno disposta la gente,come se condividere qualcosa sia diventato perderne il senso” dice Santeramo.

Nella scena scarna e immutata, percossa solo dalle presenze e dalle assenze dei protagonisti, troneggiano a tutto sfondo le fotografie ingrandite di quanti si indovinano essere stati beneficiati dal guaritore: ognuno portatore di identità e quindi di una storia diversa.

Se l’originalità di questo testo, ben condotto tanto nei dialoghi quanto nei monologhi, brilla in un panorama generale di scarsa pregnanza drammaturgica, altrettanto colpisce l’interpretazione di Sinisi, capace di giocare in chiave semiseria senza mai perdere l’autenticità del suo personaggio, tra dramma e speranza: candidato al Premio Ubu 2014 come migliore attore.

Ancora una volta, dopo il suo splendido Enrico III, ( vedi recensione all’interno del reportage del Festival dei due mondi di Andria) ritroviamo compostezza formale: nessuna sbavatura, né eccesso nelle licenze verosimili dell’arguzia di un vecchio capace di osservare la vita e le sue vicende con distacco autoironico, che pur tuttavia si prende sul serio, ritroviamo la fisicità sanguigna della cultura meridionale cui il guaritore appartiene mescolata a certa indolenza di uno “stare a guardare”, ma soprattutto ci specchiamo in una grande lezione di teatro, quello più profondo e difficile che scava nel corpo, nella memoria, nella parola, alla ricerca del dettaglio, quello che ci sorprende e che oggi sembra quasi sparito nell’omologazione del facile e del superficiale.

A fargli da contrappeso Vittorio Continelli, il fratello sarto e in parte complice, incapace però di essergli d’aiuto nel momento del bisogno, e gli altri tre attori : Simonetta Damato, Gianluca Delle Fontane e Paola Fresa, presenze che sembrano emergere per caso, oscillanti tra fantasia e realtà, rispetto alle quali avremmo preferito una regia più decisa nella delineazione dei caratteri: ci è parsa insomma un’interpretazione troppo realistica in chiave fantastica e poco approfondita in chiave realistica, ( osservazioni sottili dato l’alto livello dell’opera) pur riconoscendo loro credibilità interpretativa.

Personalmente auguro a Michele Sinisi di non perdere mai questo amore per la ricerca, questo desiderio di mettersi a nudo e questa umiltà nel rimettersi in gioco ogni volta quasi iniziando da capo, tensione tipica dei veri artisti, che a volte con la notorietà viene abbandonata per il perseguimento di scorciatoie più facili. Ce ne fossero di attori così!

Lunghi applausi domenica da parte di un pubblico peccato poco numeroso.

Emanuela Dal Pozzo