REPORT SGUARDI 2014- FESTIVAL/VETRINA DEL TEATRO E DELLA DANZA CONTEMPORANEA DEL VENETO

UNO SGUARDO D’INSIEME

Sguardi- 10-13 settembre 2014.

Giornate intense di spettacoli a Vicenza, suddivisi nei diversi teatri disponibili, ma non tutti di livello soddisfacente, così come richiederebbe un festival/vetrina teso a rintracciare le significative produzioni del panorama contemporaneo veneto.( Vedi programma precedente pubblicato)

Delle 27 proposte ne abbiamo visionate 15, focalizzando il nostro interesse più sul teatro che sulla danza e ora che il Festival si è concluso ne ricordiamo volentieri il momento d’inizio e quello della sua conclusione. Il nostro incipit: il ricco percorso storico guidato con cuffie, all’interno di una stupefacente Basilica palladiana, percorso interattivo ideato e realizzato da La Piccionaia/ Teatro Stabile di Innovazione di Vicenza, che ha sollecitato in tutti i partecipanti momenti di autenticità e di riflessione, tra opere d’arte architettoniche, visuali inedite della città, spaccati di epoche passate e l’incursione clandestina di un cervo, scultura itinerante tra le vie cittadine e le stanze della Basilica: “sguardo nuovo” perchè straniero; la conclusione del Festival con l’ultimo spettacolo di Gigio Brunello “ Lumi dall’alto”, spettacolo che nella sua estrema semplicità comunicativa ha veicolato sfaccettature filosofiche capaci di riportarci al senso più profondo del teatro, in cui tutto diventa possibile quando l’invenzione e la finzione diventano linguaggio condiviso e in cui viene dimostrato come la genialità ideativa e creativa non ha bisogno di grandi mezzi scenografici quando un attore ha cose da dire.

Tra i pregevoli estremi di questa retta si agitano poche luci e molte ombre, e nonostante gli auspici iniziali lo “sguardo” sembra diventare spesso periferico, privo di incisività, evento inconsistente, ritaglio/ scarto con potenzialità in attesa di maggiore definizione.( Noi per spettacoli intendiamo altro). La visione d’insieme, peraltro con scarsi tempi di rielaborazione per il veloce avvicendarsi di performance con minimi tempi d’attesa, risulta quindi frammentaria, perlopiù poco convincente, nonostante ad un’analisi più dettagliata emergano input interessanti ma con scarse scariche di adrenalina.

L’ umore complessivo del pubblico, un pubblico fedele di addetti ai lavori e numericamente contenuto, non è dei migliori. Serpeggia un po’ di scontento anche se poi prevale la curiosità, ma i commenti vengono bisbigliati in segreto e si colgono più nelle espressioni dei visi o degli occhi che nelle parole. E’ un peccato che, dato il numero ristretto di persone che ormai a fine festival socializza tanto da sembrare un clan familiare, nessuno abbia pensato di convogliare questa energia repressa in una bella tavola rotonda: un confronto aperto capace di essere di stimolo alle compagnie per il miglioramento delle loro proposte e di apporto ideativo tanto al Festival che a quelle iniziative future nella mente degli organizzatori esterni. Sarebbe stato interessante ad esempio cogliere le diversità di vedute ( se ce ne fossero state) tra attori, produttori e critici , nel tentativo di creare quel collante, quel linguaggio comune di senso in ambito teatrale che sembra perdersi anche in chiave generazionale.

GLI SPETTACOLI

Tornando agli spettacoli, se l’anno scorso sembravano mancare tanto l’attore nella centralità scenica, spesso supportato e a volte sostituito dalla tecnologia, quanto una drammaturgia di parola a sostegno, quest’anno la tendenza, almeno per parte degli spettacoli visti è opposta, nonostante tanto la presenza attoriale quanto quella drammaturgica non siano sempre convincenti. In alcuni casi l’ eccessiva fiducia nelle proprie capacità porta gli attori soprattutto giovani ad espressioni “naif” che sottendono scarsa importanza a quella preparazione attoriale indispensabile in una reale padronanza scenica ( Quattro soldi di Malmadur- musical sospeso tra diverse formule e incapace di prendere una direzione, in cui la forza d’impatto viene giocata sull’immediatezza d’immagine piuttosto che sulla competenza dei linguaggi). Alcune drammaturgie non reggono l’impatto con il palcoscenico mostrando superficialità e debolezze ( “Tanto vale vivere” di Ensemble Vicenza Teatro, con testo e interpretazione banali, lagnosi e ripetitivi, tali da restituire un’immagine di donna puerile ed anacronistica ) , o eccessiva lungaggine e scontatezza ( “Tomato soap” di Manimotò- Questa nave, nonostante il riconoscimento di una bravura nel movimento scenico dei pupazzi. L’evoluzione è prevedibile, i tempi troppo lunghi sia all’interno della piece che nel suo completo svolgimento.)

A volte è la realizzazione che suscita qualche perplessità ( Evo di Giuliana Urcioli- performance troppo lunga e poco “necessaria” che la priva di quella carica emotiva d’impatto, condizione fondamentale per il suo svolgersi), o perchè senza ancora la giusta calibratura di accenti, nonostante l’apprezzabilità complessiva (“La cinta que envuelve una bomba” di Fatebenesorelle- qui l’analisi diventa sottile nel riconoscimento di un lavoro di spessore con immagini d’impatto e di gusto e una ricerca sull’utilizzo della parola anche in chiave fonetica che contraddistingue i lavori di Patricia Zanco), o perchè ne tradisce gli intenti ( “Ho un punto fra le mani” di Tam Teatromusica– esteticamente bello ma troppo cerebrale, con una mediazione attoriale troppo fredda ed una scenografia troppo buia, che sostanzialmente ne fanno un allestimento poco adatto a bambini di due anni seppur accompagnati, come cita la locandina).

Tra gli spettacoli rimasti tre spiccano per indubbia professionalità “Circo Soufflè” di Pantakin Circo Teatro, una commistione di teatro e di performance circensi di alto livello, con delle belle trovate, grande presenza scenica, ricchezza d’ironia, di simpatia e di verve improvvisativa: nessuna caduta nella banalità!; “Radio Garage Rock” di Donati & Olesen- Barabao Teatro, spettacolo musical/ teatrale spassoso ed avvolgente, imprevedibile e creativo, intelligente ed ironico, in un ritmo di costante ascesa in cui l’animazione degli oggetti diventa rapimento dello spettatore in altri luoghi: divertentissimo e “Che ne dici di salvarmi?” del Teatro Scientifico- Teatro Laboratorio, finalmente una bella drammaturgia ad addentrarsi con ironia e profondità nel meccanismo di coppia e in cui i bisticci di parole diventano casuali input di riflessione, finestre aperte e sguardi nuovi, a trasformare l’apparente canovaccio di una favola in una realtà psicologica complessa ancora da esplorare. Qui un buon testo si intreccia con l’altrettanto aderente interpretazione dei due protagonisti, poggiata sulla padronanza e abilità tecnica di Laruffa nel continuo spostamento delle direzioni e sulla splendida vibrazione della voce capace di attraversare il corpo di Isabella Caserta. Profondo e divertente.

Convincenti gli ultimi quattro spettacoli: “ Annette”, performance di Francesca Raineri -Jennifer Rosa ha il proprio punto di forza nell’analisi minimalista del gesto e soprattutto dello sguardo, condotto senza indugianti descrizioni e per questo necessario, studio interessante per quanti non conoscono questo linguaggio, anche se la performance non ci pare nuova nei contenuti ; “Parliamo d’altro- dialogo tra madre e figlia” Fondazione Aida- Trentospettacoli-Theamus, qui in estratto, ha come punto di pregio la bella regia di Maura Pettorruso e la convincente interpretazione delle due attrici, ma sarebbe necessario vedere lo spettacolo completo per comprenderne la pregnanza; “ 9841/Rukeli” di Farmacia Zoo ,anche questo in estratto, spettacolo multimediale che trae la sua forza dal suo essere atto di memoria e di denuncia; “Odette e il lago dei cigni”, un’abile messa in scena con le caratteristiche tipiche della fiaba tradizionale con buoni , cattivi e morale conseguente. I personaggi sono ben ritagliati e altrettanto decisamente affrontati; accattivante qualche soluzione scenografica. Forse manca, in questa bella ma schematica soluzione scenica, un contributo personale di riflessione capace di dilatarne il senso.

INTERVISTA AD ANDREA PORCHEDDU COORDINATORE DELLA COMMISSIONE ARTISTICA

L’esigenza di intervistare il critico teatrale Andrea Porcheddu, qui in veste di coordinatore della commissione artistica del Festival/Vetrina di Sguardi 2014, che conta anche Giovanna Gianesin Caserta, Piergiorgio Piccoli e Claudio Ronda, mi viene naturale in chiusura del Festival: quattro intense giornate di spettacoli full immersion, dal 10 al 13 settembre 2014 . La mia curiosità nasce dalla non sempre alta qualità degli spettacoli presenti.

Gli spettacoli non mi sono parsi sempre di qualità. Dovessi esprimere un parere direi che si è privilegiata la quantità alla qualità. Quali criteri sono stati utilizzati per la loro ammissione?

Bisogna innanzitutto dire che alcuni rientrano di fatto nella Rassegna e quindi non sono stati sottoposti al vaglio della Commissione, precisamente le proposte dei Produttori Professionali Teatrali Veneti, ideatori del Festival ( Tib Teatro di Belluno, Tam Teatromusica di Padova, Teatro Scientifico di Verona, Pantakin di Venezia, Ensemble Vicenza Teatro di Sovizzo (Vicenza) , Theama Teatro di Vicenza e Questa Nave di Marghera (Venezia), oltre ad A.R.CODanza, Associazione Regionale delle Compagnie di Danza con le compagnie Fabula Saltica di Rovigo, Naturalis Labor di Vicenza, Tocnadanza di Venezia, Ersiliadanza di Verona Khorakhanè Danza di Chioggia (Venezia) e RBR di Verona. Per le altre si, il criterio è stato quello della qualità.

Vedendo gli spettacoli mi sono chiesta ad esempio se avete pensato oltre alla qualità anche al mercato, visto che la vetrina è soprattutto rivolta ai direttori artistici o quanti preparano cartelloni di spettacoli e vengono qui appositamente per selezionare proposte…

Bisogna essere chiari: oggi non esiste più un mercato del teatro… E’ una categoria astratta. Detto questo certamente l’intento è quello di mettere in relazione artisti ed organizzatori, che non necessariamente devono essere attratti dallo spettacolo, a volte qui in versione incompiuta od estratto, o magari al contrario già datato, piuttosto dal linguaggio utilizzato, dallo stile che può incuriosire e rimandare a sviluppi futuri.

Mi sono anche accorta che le giornate sono molto faticose. Si registra stanchezza. Non sono troppo intense per gli spettatori arrivando a contare anche più di 10 spettacoli in un giorno?

Decisamente si. Io stesso, che pure sono allenato a questo, arrivo ad un punto di grande stanchezza, soprattutto quando non tutti gli spettacoli dimostrano di essere di alto livello.

Sei soddisfatto del livello artistico raggiunto quest’anno e rispetto alle edizioni precedenti registri una diversa partecipazione?

Per ciò che riguarda il livello artistico sì, soprattutto perchè quest’anno rispetto alle edizioni precedenti è stato aggiunto il settore danza. Mi sarei aspettato per questo un maggiore afflusso interessato a questo settore, invece mi pare abbia retto soprattutto quello teatrale, con un ricambio interno che ha mantenuto grosso modo il numero dello scorso anno.

Quali cambiamenti ti piacerebbe apportare per rendere questo Festival migliore?

A prescindere che questo è il mio ultimo anno di presenza qui, cosa di cui sono contento anche per lasciare spazio a “nuovi sguardi”, vedrei un allargamento della proposta a tutto il Nordest, non solo al Veneto, comprendendo anche il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia.

Emanuela Dal Pozzo